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NUOVI INCUBI: I MIGLIORI RACCONTI WEIRD

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Nuovi incubi è l’edizione italiana di Year’s Best Weird Fiction, Vol. 1. Rispetto alla versione originale è stato inserito il racconto “Il suo sguardo” di Moreno Pavanello, già pubblicato su Hypnos numero 3 e vincitore della prima edizione del Premio Hypnos.

L’Year’s Best Weird Fictionè un progetto di collana ambizioso e innovativo. Dalla prefazione del curatore Michael Kelly si evince infatti che «non c’è mai stato un volume dedicato alle migliori opere weird dell’anno». In futuro Michael Kelly progetta di pubblicare altri numeri affidando ogni volume a un diverso esponente della letteratura weird. Secondo l’ideatore della collana, la scelta di cambiare di volta in volta il nome che lo affiancherà in copertina «darà alla serie una fresca e unica qualità, dato che ogni curatore regala la propria distintiva impronta al testo».



I volumi pubblicati per la collana sono già due. Un paio di anni fa è uscito Year’s Best Weird Fiction, Vol. 1, curato da Laird Barron, che raccoglie i migliori racconti del 2013. Invece nell’anno appena trascorso è uscito Year’s Best Weird Fiction, Vol. 2, curato questa volta da Kathe Koja, che  presenta i migliori racconti del 2014.

In Italia è arrivato, appunto, il primo volume a cura di Laird Barron. I ventidue racconti dell’antologia riflettono il punto di vista del curatore, che nella sua introduzione confessa di vedere «così tante sfumature di weird, così tante venature, e fin troppi strati nella storia fossile di questa particolare vena letteraria per proclamare “il più grande” o “il migliore” [racconto weird] con una qualsivoglia autorità». Ciò nonostante, la scelta dei racconti si è orientata verso quelli capaci di sorprendere, di lasciare un senso di inquietudine. Quei racconti che, una volta letti, fanno guardare il mondo «in modo diverso, con più sospetto».

Laird Barron
Il racconto weird dev’essere quindi capace, secondo Laird Barron, di riportare ogni aspetto della rassicurante vita moderna sotto una lente ostile, aliena. Così, una scala con un gradino di troppo ("Il diciannovesimo gradino" di Simon Strantzas) o una tempesta particolarmente violenta ("Bor Urus" di John Langan) possono spalancare le porte che si ergono su mondi minacciosi. Sono incalcolabili i varchi segreti che conducono verso nuovi piani della percezione, spazi extradimensionali che solo i sognatori esperti possono attraversare indenni. Perché sognare è pericoloso, può sconvolgere la psiche, soprattutto se il viaggio onirico passa attraverso terribili incubi.

Immaginate per un momento di avere partorito un mostro, come di fatto avviene nel racconto "Fox into lady" di Anne-Sylvie Saltzman. Oppure, se siete dei bravi poeti, considerate l'ipotesi che la Morte venga a trovarvi, prendendo in prestito la vostra anima in cambio di una poesia, come nel caso del racconto "Un piccolo demone" di Jeffrey Ford, uno dei più macabri, profondi e meglio riusciti dell'antologia di Laird Barron. E se un giorno vi svegliaste nel vostro appartamento, scoprendo che non solo tutte le parti elettriche della casa sono andate in blackout, ma che l'intero mondo è precipitato nel buio fitto, in una nube di un nero impenetrabile che annulla qualsiasi cosa avvolga tra le sue spire? L'angoscia della morte è un argomento chiave in un certo tipo di letteratura ed è ben rappresentata dal racconto "Nel limbo" di Jeffrey Thomas. Impossibile parlare di ogni singola storia in una raccolta così ricca e variegata, intensa e suggestiva come Nuovi incubi, arrivata in Italia con un tempismo perfetto e pronta a far assaporare la moderna letteratura weird a un popolo di lettori affamati da una dieta composta solo di fantasy e fantascienza. Oggi, come non mai, insieme al sense of wonder c'è un disperato bisogno di sense of weird. L'attesa che ha preceduto questa straordinaria raccolta delle Edizioni Hypnos ne è la diretta testimonianza.

F A


UCZ #156, UCZ #105, UCZ #073: Visioni di JACQUES SPITZ

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Questo appuntamento con "Sfogliando UCZ" ci porta una (spero gradita) novità: la sinergia tra due blog che si occupano principalmente di Fantascienza, ovvero il nostro Cronche di un Sole Lontano ed il bel blog dell'amico Nick Parisi, Nocturnia.
L'occasione è di quelle ghiotte e ci offre il pretesto ideale per tentare la cosa: Urania Collezione pubblica questo mese un Romanzo e 6 Racconti inediti del visionario autore francese Jacques Spitz (ed è solo grazie ad Urania-Mondadori se 4 romanzi e 6 racconti dell'autore francese sono stati tradotti in italiano ed offerti finalmente al Popolo Lettore).
Con questa operazione io e Nick Parisi tentiamo di offrire un breve ritratto di Jacques Spitz mettendo insieme le poche informazioni che si hanno dell'autore francese e della sua opera; di seguito cercherò di offrire una concisa panoramica delle opere di Spitz tradotte in Italiano, mentre Nick ci offre una bella scheda sulla vita dell'autore e sulla sua narrativa in generale.
Se l'operazione avrà successo potremo magari replicarla in futuro ma indipendentemente da questo tanto io quanto Nick siamo contenti di poter unire le nostre forze, di tenderci una mano sperando di dare il nostro, seppur minimo, contributo alla diffusione della Fantascienza in Italia; sappiamo bene come l'ambiente fantascientifico italiano sia disgregato e quanta competitività viene messa in campo da autori, blogger, appassionati e lettori...noi, da parte nostra, poniamo intanto quello che Nick definisce "un altro mattone nell'edificio della Pax Fantascientifica tra Blogger ed appassionati",  e contenti di farlo con un autore che attraverso le sue opere ha costantemente messo a nudo la fragilità del nostro essere umani e l'assurdità e l'incomprensibilità degli umani istinti.




Jacques Spitz, autore francese nato in Algeria nel 1896, è oggi considerato (dalla critaca d'Oltralpe) uno dei grandi del fantastico francese, insieme a Jules Verne, Rosny e Renard; considerato anche l'anello di congiunzione tra il romans fantastiques francese e la Science Fiction vera e propria (che sarà rappresentata succesivamente da autori come Renè Barjavel); il suo stile particolarissimo, profondamente influenzato dal surrealismo degli anni '20 oltre che da Kant, Valèry e Pirandello, modella una satira tragicomica su scala cosmica dai contorni inediti; e proprio a causa della particolarità delle sue opere, Spitz non ebbe vita facile nel mondo dell'editoria francese degli anni '30 e '40; molti editori motivavano il rifiuto dei suoi romanzi dicendo che questi non erano pubblicabili nelle collane "classiche", che sarebbe stata necessaria una nuova collana di narrativa d'anticipazione o di Science Fiction e che, visti gli anni che correvano, quella della nuova collana era una strada non praticabile dalle CE francesi; e difatti i romanzi di Spitz che furono pubblicati mentre l'autore era ancora in vita furono pubblicati come romanzi fantastici. Ma la maggior parte delle opere di Spitz restarono inedite e saranno pubblicate                                                          solo parecchi anni dopo la morte dell'autore.


Di Jacques Spitz non se ne sa molto. Sappiamo che ha partecipato alla prima ed alla seconda Guerra Mondiale, che è stato prima studente del Politecnico e poi ingegnere ma che le attività alle quali dedicava più tempo erano la letteratura e la scrittura e le sue principali ambizioni erano puramente spirituali. Uomo dalla personalità complessa, schivo, solitario, mai accomodante; un personaggio davvero particolare: cliccate QUI per approfondire maggiormente con Nick Parisi.

Spitz (morto nel 1963, all'età di 67 anni) in vita non conobbe ne fama ne gloria (nonostante 3 dei suoi romanzi, ovvero "Le Mosche", "L'Uomo Elastico" e "L'Occhio del Purgatorio", siano ritenuti capolavori del genere), l'importanza delle sue opere per l'evoluzione della SF in Francia e per la letteratura francese in genere è stata riconosciuta solo dopo la sua morte e nel corso degli anni sono stati pubblicati diversi suoi testi ancora inediti.

In Italia è grazie ad Urania se abbiamo la possibilità di leggere una buona parte delle opere di Spitz.
Il capolavoro di Spitz, "L'Occhio del Purgatorio", fu pubblicato in Francia nel 1972 e solo un anno dopo arrivò sulle pagine dell'Urania di Fruttero e Lucentini (Urania n.622 del Luglio 1973; ristampato sull'Urania n.987 del Gennaio 1985, entrambi con una splendida copertina di Karel Thole. Ristampato ancora nel 1992 sui Classici Urania n.183).
Nel Maggio del 2006 Urania pubblica "Incubi Perfetti", antologia contenente 2 romanzi brevi inediti in Italia, ovvero "Le Mosche" e "L'Uomo Elastico".
Un altro inedito di Jacques Spitz, "Segnali dal Sole" (UCZ #073), arriva nel febbraio 2009 ed inaugura la serie di volumi di Urania Collezione dedicati all'autore francese.
Nel 2011 UCZ propone una ristampa riveduta, reintegrata ed annotata (rispetto alle vecchie edizioni Urania) de "L'Occhio del Purgatorio" (UCZ #105, in appendice c'è anche il romanzo "Le Mosche") e pochi giorni fa la CE di Segrate pubblica un volume contenente un romanzo e sei racconti inediti.

Nel 2009 in Francia esce un Omnibus dedicato a Spitz; il volume, intitolato "Joyeuses Apocalypses", contiene: L'uomo Elastico, Le Mosche, La Guerra Mondiale n.3 e 6 racconti inediti riuniti sotto il titolo "Sei Macchine per fabbricare il Futuro".
Ed è Giuseppe Lippi, il curatore di UCZ, la persona che si deve ringraziare per aver portato in Italia tutte queste opere (e per averne tradotte alcune), per averle fatte tutte confluire nella collana Urania Collezione e per aver dato ai lettori italiani la possibilità di conoscere questo importante e particolare autore francese attraverso le sue opere più significative.
Il numero di UCZ in edicola questo mese contiene infatti tutte le opere presentate in "Joyeuses Apocalypses" ed ancora inedite in italia, ovvero il romanzo "La Guerra Mondiale n.3" e 6 racconti (riuniti sotto al titolo "Sei Macchine per fabbricare il futuro") ovvero: Dopo l'Era Atomica, Il Naso di Cleopatra, Intervista a un Disco Volante, L'Enigma del V 51, Le Vacanze del Marziano, Il Segreto dei Microbi.


Purtroppo tra le carte di Spitz non è stata trovata nessuna indicazione circa il periodo e l’anno in cui queste opere precedentemente inedite sono state scritte. L’unico racconto del quale si conosce la data è “L’Enigma del V 51” che è stato scritto nel 1951.


* * * * *



Urania Collezione #073, Febbraio 2009:
Mondadori Editore
"Segnali dal Sole" (Les Signaux du Soleil, 1943)
di Jacques Spitz
Traduzione: Laura Serra
Copertina: Franco Brambilla
Disponibile in versione cartacea
Qui Scheda - Libro

Osservatorio del Pic du Midi, negli Alti Pirenei. Un giovane astronomo nota l'apparizione di macchie solari più chiare del normale e stabilisce che si tratta di segnali: ma da parte di chi? Sul Sole non si può vivere. I segnali devono venire da un altro pianeta e costituiscono un avvertimento per la Terra. Solo Philippe Bontemps, l'astronomo disposto a giocarsi la carriera, intuisce la tremenda verità, e quando l'atmosfera terrestre comincia ad essere risucchiata nello spazio... Alt! 
Aggiungiamo solo che Segnali dal sole è un altro irriverente capolavoro del più irriducibile autore della sf "nera".




Urania Collezione #105, Ottobre 2011:
Mondadori Editore
"L'Occhio del Purgatorio" (L'oeil du purgatoire, [1945] 1972)
di Jacques Spitz
Traduzione: Bianca Russo e Giuseppe Lippi
Copertina: Franco Brambilla
Disponibile in versione cartacea
Qui Scheda - Libro

Questa è una strana storia anche per una rivista come Urania, che di storie strane ne ha pubblicate tante. Ne è autore uno scrittore francese morto nel 1963, che visse a Parigi, solo e ignorato, senza mai leggere un libro di fantascienza. I suoi maestri furono Kant e Valéry. e si sa che ebbe una predilezione per Pirandello, ma che la sua opera, rimasta del resto sempre ai margini della fama, fu soprattutto influenzata dal surrealismo. Nel 1945 pubblicò senza alcun successo questo "Occhio del purgatorio", una macabra, rigorosa, progressiva allucinazione, che comincia da un casuale incontro sul "boulevard" con un vecchio in bombetta, e procede, si gonfia, dilaga in una "inversione temporale" di straordinario effetto. Oggi Spitz è stato riscoperto e rivalutato, forse perché la sua 
                                                                 sarcastica, sprezzante compassione per l'uomo, le sue visioni                                                                            d'incubo, non sembrano più così eccessive nel caos stralunato                                                                            del nostro tempo. (Fruttero & Lucentini)


Autore dalla scrittura fluida e fresca ma anche particolarmente incisiva (sopratutto nelle immagini, vista l'influenza subita dal surrealismo), dotato di tagliente ed acuta ironia in grado di grattare la superfice delle cose e mostrarci quello che si nasconde sotto, dissacrante, eclettico, irriverente, diretto. Per Spitz l'evento scientifico è sempre e solo il pretesto che mette in moto la vicenda e che gli permette di dissertare sul mondo, la vita e gli Esseri Umani.

Ne "L'Occhio del Purgatorio" il parabacillo estratto dalla Lepre Siberiana infetta il nervo ottico del protagonista donandogli la capacità di vedere non il futuro bensì il "presente invecchiato", ovvero vede le cose che lo circondano nello stato in cui saranno nel futuro; un presente sempre più invecchiato man mano che l'infezione progredisce, quindi mentre inizialmente il protagonista si limita a vedere la barba sul suo volto appena rasato, il vino che sembra gia piscio, la sua ragazza che assume via via la fisionomia di una anziana, le lamette per radersi nuove gia arrugginite…. alla fine si ritroverà a vedere zombi ambulanti, persone con la carne marcia attaccata all'osso, addirittura scheletri ambulanti, e Parigi ridotta in polvere... Questo viaggio del protagonista nella causalità lo porterà a trovarsi faccia a faccia con un pianeta morente e con indefinibili spettri, sempre più lontano dal mondo fisico causale e più vicino al mondo delle pure idee. Non voglio anticipare nulla della trama quindi vi invito ad intraprendere questo viaggio nella causalità, la dove il normale rapporto causa-effetto non esiste più, dove appare sempre più evidente il vano significato delle forme e dell’apparenza, un agghiacciante ed immaginifico viaggio osservato con l’Occhio del purgatorio.

In “Le Mosche” il futuro della razza Umana è messa a dura prova da una nuova razza di Mosche intelligenti; ne "L’Uomo Elastico" lo spunto è offerto dalla miniaturizzazione e dall’accrescimento fisico dei microbi oltre che degli esseri umani. Romanzi cinici e divertenti piene di trovate che si susseguono a ritmi elevatissimi; come scrive il francese Pierre Versins "leggere L'Uomo Elastico significa comprendere, infine, che gli Uomini sono simili ma nient'affatto uguali".

Segnali dal Sole” (che ha uno stile quasi caricaturale, caratteristica che ritroveremo anche in “La Guerra Mondiale n.3”) ci racconta di 2 civiltà aliene che sottraggono Ossigeno ed Azoto dall’atmosfera Terrestre, causando enormi danni e sconvolgendo la faccia del nostro Pianeta.
Come reagiranno le grande Potenze Terrestri? Quali provvedimenti verranno messi in atto dagli scienziati Terrestri? Riuscirà l'umanità a far fronte comune contro la minaccia?
Parlando di “cose umane” sembra che non possa esistere bene o male e che invece tutto sia raffazzonato, che tutto avvenga come conseguenza di accordi e convenienze, che tutto accada come se non ci fosse mai un domani….

"Colpevoli di esserci addormentati tra le delizie di un mondo che avevamo creduto per sempre asservito ai nostri capricci, abbiamo avuto un risveglio terribile..." (cit. da Segnali dal Sole)

"Non è affatto sicuro che la sete di conoscenza sia legittima, che il progresso non sia una corsa verso l’abisso, che il rimedio della scienza, la quale a piccole dosi ha un effetto terapeutico, a dosi più forti non si trasformi nel veleno che ha ucciso gli Dei” (cit. da L’Uomo Elastico)




Urania Collezione #156, Gennaio 2016:
Mondadori Editore
"La Guerra Mondiale n.3" (La Guerre Mondiale n.3, 2009)
di Jacques Spitz
Traduzione: Giuseppe Lippi
Copertina: Franco Brambilla
Disponibile in versione cartacea e digitale

LA GUERRA MONDIALE N°3
Mai, da che mondo è mondo, la prospettiva di una guerra ha scoraggiato qualcuno.” Comincia con questa riflessione la cronaca della guerra mondiale n°3, una delle tante eppure unica, l’ultima di una serie ma non la definitiva. Il conflitto vede i russi padroni in breve tempo dell’Europa occidentale e dell’Africa; l’Inghilterra soccombe dopo un’eroica resistenza, l’America ha piani a lungo termine e per il momento resta a guardare. Poi, quando le bombe atomiche hanno colto il primo sangue e le armi batteriologiche il secondo, arriva l’ultimo flagello… Uno sferzante romanzo inedito in cui Spitz racconta l’ultima spiaggia della civiltà con l’amore del paradosso caro alla sf, il “cinismo” del grande moralista e la lucidità dello storico.
SEI MACCHINE PER FABBRICARE IL FUTURO
                                                             Per la prima volta in Italia una scelta dei racconti del grande                                                                                visionario, sei avventure inedite di domani.



"Mai, da che mondo è mondo, la prospettiva di una guerra ha scoraggiato qualcuno.

Così inizia “La Guerra Mondiale n.3” nel quale si narra della rovinosa guerra, in piena era della Guerra Fredda, tra Russia e Stati Uniti. In quell'epoca la "terza guerra mondiale" era intesa come distruzione totale, cataclisma atomico, ma Spitz va ben oltre...perchè si sa: al peggio non c'è mai fine e tutto sommato basta trovare una "scusa"...

"Abbiamo bisogno di trovare una nobile necessità alla base di tutto, per consolarci degli orrori che le guerre ci obbligano a ripercorrere, dei mali che infliggono alla sventurata specie Umana" (cit. da La Guerra Mondiale n.3).

Come dicevo prima, diversi romanzi di Spitz non furono pubblicati all'epoca perchè "si tratta di Science Fiction"; invece per questo "La Guerra Mondiale n.3"è interessante leggere il motivo del rifiuto addotto da una delle principali CE francesi dell'epoca: "Given the current political atmosphere, it is not possible for us to publish your novel. Despite its fictional character, the events it describes are too plausible.
Publishing your story would no doubt bring down upon us the rightful wrath of the public, who are already very much alarmed by these dark days.
"
Insomma... Troppo reale, troppo plausibile...

Lo scenario dipinto da Spitz è davvero terribile ed a volte questo romanzo mi ha fatto pensare a “L'Ultima Spiaggia" di Nevil Shute; ma se “L’Ultima Spiaggia” era desolazione, impotenza, rabbia, frustrazione e dolore, “La Guerra Mondiale n.3” è invece un vago e cinico sorriso. 
Gia, proprio quello che affiorerà sulle vostre labbra durante la lettura di questo e degli altri romanzi di Spitz. Perché dopotutto l’Opera di Spitz, complessa ed analizzabile da varie angolazioni, ha un minimo comun denominatore evidente: l’assurdità dell’Essere Umano, l’incomprensibilità (o se volete la banale semplicità) delle motivazioni che si nascondono dietro le azioni degli Esseri Umani. Persino nei passaggi più impegnativi, drammatici e significativi delle sue opere, l’ironia ed il cinismo di Spitz alleggeriscono tutto e riescono a far passare in secondo piano tutto ciò che non riguarda l’intima essenza degli esseri umani, riescono a intaccare la superficie delle cose ed a far cadere le maschere dell’Uomo; lo sguardo di noi lettori affronta a viso aperto lo sguardo dell’Uomo, ed in fondo ai suoi occhi riusciamo a scorgere piccole parti di quella che è la sua vera essenza; quello che vediamo non ci piace…non può piacerci… eppure c'è qualcosa di familiare... in qualche modo ci sembra di star fissando uno specchio…
Spitz nutriva un po di fiducia nei confronti dei suoi simili? Sembrerebbe di no… (sebbene il finale di “Segnali dal Sole” lascia aperto uno spiraglio all’Amore).
E se da una parte l’Uomo è al centro dei suoi romanzi, dall’altra Spitz mette in evidenza come l’Uomo non sia al centro dell’Universo e quanto esso possa essere insignificante, casuale e non necessario.
Tutto questo appare evidenti, a mio avviso, nei 6 fulminanti racconti che vanno a formare “Sei Macchine per fabbricare il futuro”, nei quali le sembianze dell’Uomo coincidono sempre più con quelle di un pagliaccio e addirittura la Terra e la Razza Umana sono considerate un pericolo per l’intero universo e il “futuro fabbricabile” altro non può essere che un gran pasticcio se non un enorme disastro.
Voglio riportare questa bella frase di Giuseppe Lippi nella quale lui parla de “L’Occhio del Purgatorio” ma che, a mio avviso, stigmatizza l’intera opera di Jacques Spitz: “L’Occhio del Purgatorio è un viaggio al termine dell’essere che esplora la condizione abissale in cui brancoliamo come ciechi, credendoci visionari.

Le visioni d’incubo di Spitz non sembrano più così eccessive nel caos stralunato del nostro tempo” 
(Fruttero e Lucentini)


Sfogliando UCZ

I 3 volumi di Urania Collezione dedicati a Jacques Spitz (UCZ #073, UCZ #105 ed UCZ #156) ci offrono anche interessantissimi spunti critici a proposito dell’opera di Spitz con brevi saggi ad opera di Giuseppe Lippi, Pierre Versins, Laura Serra e Gianfranco De Turris; e ritroviamo l’immancabile biografia italiana dell’autore curata da Ernesto Vegetti ed Andrea Vaccaro.
Nell’UCZ #156 troviamo anche una breve sezione extra contenente un bel racconto di Paolo Aresi (“Korolev, traiettoria orbitale marziana”) e la rubrica La Gaia Scienza (che ci propone “Il progettista Capo”, articolo firmato da Paolo Aresi e dedicato ad uno dei padri dell’astronautica ed il dossier “Macroingegneria Planetaria” firmato da Fabio Feminò).

Jacques Spitz ha lasciato oltre 6000 pagine di manoscritti, tra romanzi e diari personali, custoditi nella Biblioteca Nazionale di Francia. Spero sinceramente che prossimamente possano essere pubblicate altre sue opere ancora inedite.
N.B. Tutte le opere di Spitz tradotte in italiano sono reperibili nei 3 volumi di Urania Collezione di cui abbiamo parlato con l’eccezione di “L’Uomo Elastico” presente solamente nel volume “Incubi Perfetti” pubblicato nella serie madre Urania.


QUI potete trovare un approfondimento sulla vita di Jacques Spitz firmato dall’amico Nick Parisi e pubblicato sul suo blog, Nocturnia.

Vai a "UCZ INTRO: Sfogliando Urania Collezione" per la lista completa dei volumi di UCZ ed altre informazioni sulla collana.

Arne Saknussemm




LA REGINA DI FUOCO di Anthony Ryan

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Un tempo mi domandavo come facesse un uomo che aveva preso così tante vite ad andare avanti senza il gravame della colpa. Come riesce un assassino a portare il peso delle uccisioni e definirsi ancora umano? Ma ora siamo entrambi degli assassini, e ho scoperto che la mia anima non sopporta alcun peso…

Seconda di copertina:
Dopo aver combattuto fin quasi alla morte, la regina Lyrna è determinata a scacciare l'esercito invasore volariano e riconquistare l'indipendenza del Regno Unificato. Ma per portare a compimento i propri piani, stavolta non le basterà radunare le forze a lei fedeli. Dovrà scendere a patti con coloro che sono in possesso del dono del Buio, esseri ripugnanti che ha sempre detestato, e condurre la guerra alle porte delle fortezze nemiche. Adesso più che mai, l'esito della guerra e il destino del regno poggiano sulle spalle di Vaelin Al Sorna, il Signore della Torre delle Lande Settentrionali. La prova che sarà chiamato ad affrontare si rivelerà la più ardua. L'esercito volariano ha un nuovo misterioso alleato, una forza in grado di governare l'oscurità e donare l'immortalità a chi promette di servirla. Vaelin Al Sorna dovrà sconfiggere un nemico mai affrontato prima, che non può essere ucciso, ed è chiamato all'impresa proprio quando il Canto del Sangue, il mistico potere che lo ha reso un invincibile guerriero, sembra destinato a tacere per sempre…
Il capitolo conclusivo di una trilogia epica: uno scontro avvincente, incalzante, fantastico.

Concludere un ciclo appassionante è una delle maggiori soddisfazioni per il lettore. Per chi scrive è stato il caso della trilogia dell'Ombra del Corvo (Raven's Shadow) dello scozzese Anthony Ryan (classe 1970). La serie si è infatti conclusa con il volume LA REGINA DI FUOCO (Queen of Fire, 2015), appena pubblicato dalla Fanucci.
Con l'opera nella sua interezza, è possibile fare alcune considerazioni generali. Si nota subito come il primo libro, "Il Canto del Sangue" (Blood Song, 2012), fosse stato pensato all'inizio come un lavoro autoconclusivo. Il buon successo di questo romanzo d'esordio ha spinto il bravo Ryan ha riutilizzare gli scenari e soprattutto i personaggi per una storia dal respiro più ampio, divisa in due parti per la mole considerevole. Al centro della trama vi è lo scontro in campo aperto tra imperi di dimensioni continentali, con eserciti e flotte immensi, dietro i quali si cela il consueto conflitto tra Bene e Male, quest'ultimo rappresentato dal cosiddetto Alleato. Vaelin Al Sorna da protagonista unico è passato a dividere la scena assieme ad altri personaggi: a partire dal secondo romanzo, "Il Signore della Torre" (Tower Lord, 2014), il lettore segue infatti quattro filoni narrativi principali. Oltre a quello di Vaelin, si vive l'avventura attraverso il punto di vista di Lyrna, prima principessa e poi regina del Regno Unificato, del fratello del Sesto Ordine Frentis e della giovane guerriera Reva.
Ciascuno di questi personaggi ha caratteristiche proprie, interessanti. Si nota come l'autore sia stato attento al political correct: nei libri di Ryan le donne sono al fianco degli uomini in battaglia, e alcune figure di primo piano sono impegnate in relazioni omosessuali. L'elemento in comune dei protagonisti è il travaglio interiore, ciascuno originato da motivi diversi ma persistente dall'inizio alla fine. Citazione a parte merita la triste e melanconica figura dello storico Verniers, i cui resoconti aprono le parti in cui sono suddivisi i tre romanzi.
Per sua ammissione, Ryan è un discepolo di David Gemmell e l'influenza dello scrittore scomparso nel 2006 si avverte costantemente, specie nella galleria di eroi umani e pieni di tormenti. Si percepiscono anche gli influssi di altri autori: se per la struttura corale, la crudezza nelle descrizioni e le poche remore a eliminare figure importanti dalla trama l'accostamento a George R.R. Martin viene naturale, per quanto riguarda l'elemento magico, molto importante in Ryan, i "doni del Buio" fanno subito pensare ai "Poteri", cioè alle facoltà soprannaturali delle grandi famiglie di Darkover, l'opera di Marion Zimmer Bradley. Nella creazione del suo affresco fantasy, lo scrittore scozzese ha poi attinto a piene mani non solo al consueto immaginario medievaleggiante ma anche alla storia più antica. Nelle sue pagine si trovano echi delle imprese di Alessandro il Macedone e delle gesta del gladiatore Spartaco; per alcuni aspetti l'impero Volariano richiama alla memoria quello romano, mentre lo stato Alpirano ricorda le grandi formazioni politiche del Vicino Oriente antico; i terribili Arisai sembrano modellati sugli Immortali, i guerrieri scelti dell'antica Persia; i misteriosi popoli dell'estremo nord non sono lontani, negli usi, nei costumi e soprattutto nei riti sciamanici dagli abitanti tradizionali della Siberia, del Canada e dei ghiacci artici. Nulla di profondamente originale, ma l'amalgama finale è credibile e coerente.
Ryan si dimostra abile nel gestire una storia che, per la vastità degli scenari e il numero di protagonisti, poteva facilmente sfuggire di mano. Grazie allo stile, non troppo elaborato ma essenziale e soprattutto scorrevole, il lettore non ha difficoltà a passare da una linea narrativa all'altra, né si annoia durante le numerose scene di guerra, tra battaglie di terra e navali, scontri sui ghiacci e azioni di guerriglia. Anzi, se c'è qualcosa in cui Ryan eccelle è proprio la capacità di mantenere alta la tensione sino agli ultimi capitoli, con un uso sapiente dei colpi di scena.
Il risultato finale degli sforzi di Anthony Ryan è un'avventura corposa e appassionante, propriamente fantasy– con la netta contrapposizione tra Bene e Male e il ruolo fondamentale della "magia" - ma soprattutto un buon esempio di letteratura d'intrattenimento.

Chi fosse interessato ad approfondire l'universo di questo scrittore può visitarne il blog: http://anthonyryan.net/

Anthony RYAN, LA REGINA DI FUOCO (Queen of Fire, 2015), trad. di Gabriele Giorgi, Fanucci Editore, collana Collezione Immaginario Fantasy, 877 pp., 2016, prezzo € 21,00 (ebook € 6,99)

Stefano Sacchini

 

UCZ #153 IL MONDO DI GRIMM di Vernor Vinge

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Urania Collezione #153, Ottobre 2015:
Mondadori Editore
"Il Mondo di Grimm" (Tatja Grimm's World, 1987)
di Vernor Vinge
Traduzione: Annarita Guarnieri
Copertina: Franco Brambilla
Disponibile in versione cartacea e digitale

Quando il giovane astronomo Svir Hedrig incontra l’enigmatica Tatja Grimm, non immagina la scoperta che sta per fare. Sul suo mondo tutti leggono la rivista “Fantasie”, proprio come qui da noi tutti leggono “Urania”, ma l’unica collezione completa della mitica testata (vecchia di settecento anni) sta per essere distrutta.
Il responsabile è Tar Benesh, tirannico reggente di Crownesse, e basta questo a spingere Svir ad accettare di immergersi in una pericolosa avventura.
Ben presto, quella che era cominciata come una nobile impresa in nome della stampa si tramuta in una cruenta lotta per il potere a causa degli oscuri disegni di Tatja, ma il vero pericolo è altrove. Forse è nell’avvicinarsi del tempo della “raccolta”, fra i non meno                                                                     oscuri disegni di una grande civiltà interstellare… 

                                                                    (dalla quarta di copertina)


        


Se siete in cerca di un buon romanzo da leggere .... questo "Il Mondo di Grimm" non fa per voi; una lettura certamente scorrevole, a tratti intrigante e divertente ma con una trama davvero poco interessante e personaggi che lasciano perplessi.
Ciò nonostante questo volume ha un suo perchè e potrà soddisfare una piccola parte dei fan più appassionati di Vernor Vinge (ed io non rientro tra questi...) ed una parte di coloro che invece non hanno mai letto nulla di Vinge (categoria alla quale appartengo...).
E adesso vi spiego perchè.



"Il Mondo di Grimm" non è la ristampa dell'Urania n.1057 (che vedete nell' immagine di fianco), nonostante la Mondadori abbia deciso di mantenere lo stesso titolo.
Usando i titoli originali ci capiamo sicuramente meglio:
l'Urania n. 1057 contiene "Grimm's World" mentre l'Urania Collezione n.153 contiene "Tatja Grimm's World", e tra le due versioni c'è una bella differenza.
Nel 1968 Vinge scrive il racconto "Grimm's Story"; quindi Damon Knight chiese a Vinge di ampliare il racconto in modo da pubblicarlo sotto forma di romanzo; Vinge non amplia il racconto bensì scrive un secondo racconto come sequel del primo. I due racconti saranno pubblicati sotto forma di romanzo nel 1969 col titolo "Grimm's World" (che verrà tradotto sull'Urania n.1057).
Nel 1986 Jim Baen chiede a Vinge di ampliare ulteriormente il romanzo. Stavolta Vinge scrive un prequel, "The Barbarian Princess".
"The Barbarian Princess" (nominata allo Hugo nella categoria "Best Novelette" e piazzatasi 12ma ai Locus Award nella medesima categoria) viene pubblicato su Analog nel settembre del 1986; nel 1987 invece esce il romanzo "Tatja Grimm's World", formato appunto dall'unione dei 3 racconti.
L'UCZ #153 contiene quindi il romanzo completo nella sua versione definitiva e comprensiva del terzo racconto.
In Italia il racconto "The Barbarian Princess" era precedentemente uscito solo nell'antologia di racconti di Vinge edita dalla Nord ed uscita nel 2007 (Tutti i Racconti Vol 1& Vol 2); lo zoccolo duro dei fan di Vinge probabilmente possiede gia i volumi della Nord, ma quei pochi che non sono riusciti ad averli compreranno certamente con piacere questo numero di UCZ.
Anche i cosidetti "completisti" non si lasceranno sfuggire questo volume....

In giro per il web leggo che le opere di Vinge possono essere divise in 3 periodi:
- I primi lavori (pre-1983)
- Il periodo del ciclo del Realtime (seconda metà degli anni '80)
- Post 1990: il periodo dei romanzi "premiati"

Se fate parte di quelli che non hanno mai letto nulla di Vernor Vinge, questo è (a mio avviso) il romanzo giusto per prendere le misure all'autore prima di affrontare i suoi romanzi più importanti (e più voluminosi!) o per lo meno lo è se siete tra quelli che , come me, prediligono un approccio sistemico ad un autore e alla sua opera. Nel caso contrario probabilmente dovrete puntare su uno dei 3 romanzi grazie ai quali Vinge ha vinto il premio Hugo o alla avventurosa serie del Realtime.

"Il Mondo di Grimm"è ambientato su un pianeta ricoperto da vasti oceani punteggiati da tantissime isole, piccole e grandi, e povero di metalli al punto che lo sviluppo tecnologico è fermo all'era pre-industriale; in alcune zone ci sono addirittura intere popolazioni ferme allo stadio tribale.
Una delle spinte più forti al progresso è data da una rivista di Fantascienza e Fantasy che si intitola "Fantasie" e che esce periodicamente da ben 700 anni.
L'unica collezione completa di "Fantasie" rischia di venir distrutta ....
La vicenda si sviluppa nel secondo e terzo racconto che corrispondono alle parti più avventurose del romanzo; godibili ma niente di più.
La prima parte, quella corrispondente a "The Barbarian Princess", fu scritta quasi 20 anni dopo, lo stile è più maturo ed il racconto è molto bello; la cosa che più mi ha colpito è il modo in cui si sovrappongono fin quasi a fondersi il piano della realtà e quello della fantasia, del mito...siamo nel reale? Siamo tra le pagine di "Fantasie"? Sembrerebbe quasi che "Fantasie" sia una allegoria del mondo, che il mondo sia un riflesso della fantasia; la realtà può superare l'immaginazione, o forse l'immaginazione plasma il reale. Durante la lettura ho provato quello straniamento,quell'alienazione dal reale che provo solitamente (in maniera molto più forte) leggendo Philip K. Dick (e con questo non voglio assolutamente paragonare i 2 autori ma solo descrivere la sensazione che ho avuto durante la lettura di "The Barbarian Princess").
Chissà se questo effetto è stato volutamente cercato dall'autore; quello che è certo è che nel secondo e nel terzo racconto "Fantasie"è solo un pretesto, il motore della storia, e non riveste particolari significati.
Ma poco importa...quelle prime 50 pagine sono sufficienti a dare un'idea della bravura e dello stile dell'autore, mentre il resto va preso più come un esercizio, una palestra nella quale Vinge affina la sua prosa che arriverà a maturazione nei romanzi successivi.

Sfogliando l'UCZ #153

Vediamo che altro ci offre questo volume di UCZ oltre al romanzo di Vinge.
Qui potete consultare indice e Scheda-Libro dell'UCZ #153.
Al romanzo fa seguito un breve scheda sull'autore e le sue opere (firmata Giuseppe Lippi); ed è ancora Lippi a firmare l'articolo che chiude il volume, intitolato "Fumetti educativi, Jeff Hawke a colori etc.".
Vernor Vinge non era mai apparso su Urania Collezione prima d'ora e spero proprio che prossimamente UCZ possa proporci anche le opere più importanti di questo autore; se volete consultare la bibliografia italiana di Vernor Vinge potete trovarla a pag 224 dell'UCZ #153 (curata da Andrea Vaccaro e presente esclusivamente nella edizione cartacea); ci sono parecchi romanzi e racconti di Vinge che non sono mai stati tradotti in Italia, per una sua bibliografia completa vi rimando all'ISFDB.

Cenni sull'Autore

Vernor Vinge, nato nel 1944 in Wisconsin, è stato professore universitario di matematica ed informatica oltre che importante autore di Science Fiction (si è ritirato dall'attività accademica nel 2000 per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura); Vinge non ha ancora avuto la soddisfazione di vincere un premio Nebula ma in compenso ha vinto ben 5 premi Hugo (3 nella categoria "miglior Romanzo" e 2 in quella "miglior Racconto"), 6 Prometheus Awards (di cui uno, l'ultimo, assegnato nel 2014 come "Special Awaed Winner for a Lifetime Achievement"), 2 premi Locus, un Campbell Memorial Award, un SF Chronicle Award. La maggior parte di questi premi arriva, come dicevamo prima, dopo il 1992, anno in cui esce "Universo Incostante" (A Fire Upon the Deep).
Il seguito di "Universo Incostante", "Quando la Luce tornerà" (A Deepness in the Sky, 1999), vince anch'esso lo Hugo; il terzo Hugo è quello ricevuto per "Alla fine dell'Arcobaleno" (Rainbow's End, 2006), romanzo che ha vinto anche il premio Locus.
La SF di Vinge è si avventurosa ma affonda le radici in solide basi scientifiche e propone spesso accurate speculazioni. Un importante autore che vale la pena scoprire.





Il mondo di Grimm di Vernor Vinge (Tatja Grimm's World, 1987), traduzione di Annarita Guarnieri, copertina di Franco Brambilla; Urania Collezione - Mondadori 153, pagg. 236, Euro 6,50, ebook disponibile, Euro 3,99


Arne Saknussemm


Vai a "UCZ INTRO: Sfogliando Urania Collezione" per la lista completa dei volumi di UCZ ed altre informazioni sulla collana. 



       

IL CICLO DI ARTU' di Kevin Crossley-Holland

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È una pura immersione nell’Inghilterra del tredicesimo secolo quella che Kevin Crossley-Holland ci propone con il Ciclo di Artù.
Scrittore, traduttore e poeta inglese, nasce a Mursley il 7 febbraio 1941 e acquista fama soprattutto grazie alla rivisitazione delle leggende arturiane di questo ciclo per ragazzi, The Arthur Trilogy, pubblicato tra il 2000 e il 2003, con il quale ha vinto il premio Smarties Prize e Children’s Book of the year. Scrive anche saghe vichinghe, Bracelet of Bones (2011) e Scramasax(2012), antologie di miti norreni, The Penguin Book of Norse Myths, e racconti popolari inglesi e irlandesi, The Magic Lands: Folk Tales of Britain and Ireland, oltre ad essere autore di una celebre traduzione di Beowulf, il più lungo poema anglosassone.
Il Ciclo di Artù, in Italia edito da Salani, comprende: La Pietra delle Visioni (The Seeing Stone, 2000), Al Crocevia dei Mondi (At the Crossing Places, 2001) e Il Re che fu e sarà(King of the Middle March, 2003).
La pietra della Visioni ci introduce nel mondo di Artù di Caldicot, un ragazzo di tredici anni che vive sul confine tra Inghilterra e Galles nel 1199. Nel suo diario scrive non solo la sua grande voglia di diventare scudiero, ma che la vita che conduce, i suoi sentimenti, le persone che lo circondano, le sue avventure, e inventa canzoni e poemi.  Un giorno un uomo saggio, Merlino, gli dona una pietra del tutto singolare, un’ossidiana nera, che da una parte è ruvida e irregolare e dall’altra è liscia come uno specchio. È proprio da quella magnifica superficie che entra in contatto con un altro Artù, il mitico re leggendario, diverso e allo stesso tempo simile a lui. Le loro esistenze si intrecciano rapidamente, mutando in maniera imprevedibile la vita e il mondo di Artù di Caldicot.
Al Crocevia dei Mondi presenta Artù di Caldicot come un giovane scudiero che si prepara a seguire Lord Stephen di Holt nella Quarta Crociata. È il 1200 e al castello del Lord avviene un omicidio. La narrazione si arricchisce di numerosi personaggi, come Gatty, amica di Artù fin dall’infanzia, lo stesso Lord Stephen, Winnie di Verdon che Artù salverà dalle fiamme, e molte altre figure d’impatto, tra cui Sir William de Gortanore, suo padre. Lo sguardo costante dell’ossidiana lo accompagna, rendendolo partecipe delle avvincenti avventure che il giovane re Artù dovrà affrontare: l’Istituzione della Tavola Rotonda, l’incontro con i grandi cavalieri che popoleranno la leggenda e la grandezza di Camelot.
Il Re che fu e che sarà porta lo sguardo del lettore sui preparativi per la Quarta Crociata.
Venezia è affollata di cavalieri provenienti da tutta Europa, pronti a partire per la Terrasanta e difendere la Cristianità dall’insidia dell’Islam. Artù di Caldicot ha sedici anni e sta per essere nominato cavaliere. Quello cui assistiamo è uno scontro di sentimenti, eccitazione per la grande impresa che sta per intraprendere ed esitazione per la consapevolezza dell’assurdità di una tragedia come quella della guerra. L’ossidiana lo rende partecipe della terribile realtà generata da un conflitto di quelle proporzioni. La Crociata assume, infatti, sotto i suoi occhi, risvolti crudeli e insensati, deviando su crudeltà gratuite all’interno degli stessi schieramenti. Artù però dovrà affrontare anche altre prove: Sir William de Gortanore, suo padre, minaccia di sottrargli la fidanzata Winnie e rischierà di perdere l’affetto della madre Mair, l’amicizia di Gatty, nonché l’affetto di Lord Stephen.
Ciò che subito colpisce dello stile di Crossley- Holland è l’uso di frasi semplici, brevi, rapide che giungono al lettore come messaggi immediati, vivi. La sensazione è quella di essere spettatore in prima persona di ciò che Artù di Caldicot comunica nel suo diario, perché è proprio di un diario che si tratta, diviso in capitoli brevissimi che fungono da istantanea di sentimenti, riflessioni, emozioni o frammenti di vita quotidiana. Ogni capitolo è più introspezione che azione, sebbene lo spirito avventuriero del ragazzo affiori da ogni parola. Interessante, in effetti la questione della parola, che nell’autore assume un ruolo di dardo: deve colpire, arrivare dritto al punto, e ciò avviene tramite un lavoro estenuante sul dettaglio in modo da riassumere in una prosa brillante ed energica l’informazione che deve essere trasmessa “Non hai bisogno di parole lunghe quando è possibile utilizzare vocaboli forti, puliti, brevi”.
In tutto questo appare l’influenza del lavoro di librettista: i capitoli sono dunque “arie”, cioè sensazioni, percezioni e desideri pindarici propri di un ragazzo di tredici anni, ma anche estremamente reali, perché scaturiti da eventi quotidiani.
La narrazione in prima persona, al passato prossimo, rende l’insieme molto vicino, a portata di mano, efficace, e ciò si nota in particolare nei discorsi diretti.
Accanto alla figura del ragazzo, appare di fondamentale importanza quella di Merlino, presente nelle due vite di Artù; è una presenza costante che si muove nel tempo e nello spazio con la leggerezza del tramite tra il reale e il possibile, tra il vicino e il lontano. È un punto di incontro tra credenze diverse per certi versi inconciliabili. In lui, essere magico e umano, il complesso diventa semplice e il rifiuto diventa accettazione; è lui che dona la pietra delle visioni ad Artù, dando vita all’incontro di due mondi distanti, quello del re leggendario e quello di un ragazzo adolescente cresciuto in un contesto agreste medievale.
Le leggende arturiane trascendono la limitatezza del singolo, a livello umano, storico, geografico, perché toccano con la loro universalità ogni aspetto della vita: affetti, spensieratezza, intraprendenza, avidità, crudeltà, ingiustizia, prevaricazione, nei loro picchi più alti e in quelli più infimi, e proprio per questo continuano a suscitare interesse e curiosità in ogni epoca e ad ogni età. Sono uno specchio in cui tutti possono trovare il loro riflesso.
È proprio in quest’ottica che Il Ciclo di Artù si inserisce: è un sapiente misto tra immaginazione e ricerca storica, una visione rinnovata di qualcosa che appartiene alla storia dell’umanità, sia dal punto di vista letterario che esperienziale.
La lettura è adatta ad un pubblico giovane, ma non è solo rivolta ad un target circoscritto: comunica un vissuto dalle sfumature molto varie con un’immediatezza che rapisce anche l’adulto, a cui trasmette una parte di realtà che a lui corrisponde e che al lettore adolescente può passare inosservato.
Da leggere, soprattutto per chi non ama perdersi in sogni e divagazioni, ma anche per chi desidera tuffarsi in un’atmosfera medievale d’intensità viva e pulsante.

Autore: Kevin Crossley-Holland
Editore: Salani
-La Pietra delle Visioni, pagg. 355,  €14,50
-Al Crocevia dei Mondi, pagg. 413,  €15,00
-Il Re che fu e sarà, pagg. 445,  €15,00

Artemisia Birch


         

LA FESTA DI SAN DIONISO di Robert Silverberg

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Un romanzo breve che parla di un astronauta infelice coinvolto da un culto trascendentale nel deserto californiano.



John Oxenshuer è un astronauta afflitto dai rimorsi e dai sensi di colpa. Durante una missione su Marte i suoi compagni di viaggio sono morti tragicamente e lui ha fatto un solitario e triste ritorno sulla terra. John deve quindi combattere i suoi demoni in un mondo che non sente più suo, una società in cui non si riconosce e in cui ha evidenti difficoltà di reinserimento. A questo si aggiungono i sensi di colpa dovuti ai suoi sentimenti per la vedova di uno dei suoi compagni perduti su Marte. Decide quindi di avventurarsi nel deserto alla ricerca di quella solitudine che già pervade il suo animo, ma si imbatte nei seguaci di un culto particolare che lentamente gli mostreranno un'alternativa al suo triste vivere e lo aiuteranno ad affrontare gli incubi che lo divorano.
La Festa di San Dionisioè un romanzo breve che si legge d'un fiato, scritto con un stile agevole e caratterizzato da una forte introspezione. È comunque evidente che il romanzo risulta impregnato di una cultura “alternativa” che si diffondeva a macchia d'olio in quegli anni negli States, come un po' in tutto l'emisfero occidentale. Lo stesso Silverbergafferma “era inevitabile che la nostra immersione nella psichedelia, nelle filosofie orientali, nella musica bizzarra, e in altri fenomeni del momento avrebbe avuto degli effetti sul tipo di fantascienza che stavamo scrivendo in quel periodo. Il mondo aveva uno splendore fluorescente in quei giorni, e la fantascienza non è nient'altro se non un riflesso dell'epoca in cui viene scritta”.
Se le scivolate nel bizzarro non vi spaventano questo romanzo vi piacerà, del resto Robert Silverberg non ha certo bisogno di presentazioni, chiunque non lo conoscesse è invitato calorosamente a fare un pellegrinaggio bibliografico e chiedere perdono per il tempo perduto.
Nonostante sia sempre più difficile trovare in libreria la fantascienza recente, ma anche e soprattutto quella meno recente, Sivlerberg è stato più volte ripubblicato in questi anni. È stato infatti riportato in Italia da Elara con lo splendido “Roma Eterna” e tradotto in digitale dalla Delos nella collana Biblioteca di Un Sole Lontano di cui fa parte questo La Festa di San Dionisiooltre a Passeggeri, l'Imperatore e la Maula, Manoscritto trovato in una macchina del tempo abbandonatae il bellissimo e pittoresco Tempo da Leoni a Timbuctù(pubblicato anche il versione cartacea nell'ultimo Robot).

Tutte occasioni da non perdere per chi, in notevole ritardo, volesse approfondire un autore fra i più importanti nella storia della fantascienza.

Vincenzo Cammalleri

FIREFIGHT di Brandon Sanderson

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Il mio nome è David Charleston.
Uccido persone con superpoteri.




Seconda di copertina:
Nessuno credeva che un Eliminatore potesse sconfiggere un Epico, eppure l’indomabile Steelheart è morto per mano di David Charleston. Nonostante la vendetta di David sia compiuta e suo padre sia stato vendicato, la scomparsa di Steelheart non ha aiutato la causa di chi, come gli Eliminatori, si batte per sottrarsi alla crudele egemonia degli Epici, esseri che si servono dei loro poteri straordinari per tenere sotto il proprio giogo l’umanità intera. David sa che la battaglia per restituire agli uomini il diritto di uscire dal buio in cui si sono rintanati sarà ancora lunga e sfiancante, e dovrà superare i confini della città di Newcago, ormai libera. Adesso l’obiettivo degli Eliminatori è Regalia, l’Epico despota di Babilonia Rinata, la città che un tempo fu Manhattan. La via che conduce a Firefight, colui che ora tiene le redini del potere, passa da qui, ma l’impresa è rischiosa e lasciarsi guidare dalla sola sete di vendetta può essere molto pericoloso...


Il potere assoluto corrompe assolutamente: attorno a questa considerazione del politico britannico Lord Acton (1834-1902) Brandon Sanderson aveva costruito la storia di "Steelheart" (Steelheart, 2013).
Con il romanzo FIREFIGHT (Firefight, 2015) il prolifico scrittore del Nebraska continua le avventure del giovane David Charleston nella sua guerra contro gli Epici, persone che, dopo l'apparizione in cielo del misterioso corpo celeste Calamity, si sono ritrovate in possesso di superpoteri, diventando molto simili agli X-Mendi Stan Lee. Purtroppo, nell'universo creato da Sanderson, queste facoltà straordinarie hanno trasformato la maggior parte dei mutanti in creature folli e spietate, che hanno come obiettivo massacrare e schiavizzare il resto del genere umano. Gli unici che cercano di fermarli sono gli Eliminatori, manipolo di ribelli di cui David fa parte.   
Come il primo volume di questa serie fantascientifica, detta dei Reckoners, anche FIREFIGHT è indirizzato principalmente a un pubblico giovane: tant'è che il romanzo, alla sua uscita nel gennaio del 2015, è subito balzato in testa alla New York Times Young Adult Bestseller List. Lo dimostrano il linguaggio utilizzato dai protagonisti, la trama senza troppi sussulti e soprattutto lo stile, facile e scorrevole. Ciò non vuol dire che la storia non sia apprezzabile anche da un fruitore adulto, soprattutto se questo è appassionato di fumetti della Marvel o della DC Comics.
La principale differenza tra i due libri è lo scenario che fa da sfondo alle battaglie del protagonista: dalla grigia, oscura e metallica Newcago(ex Chicago) si passa a Babilor (un tempo Manhattan), una metropoli allagata dove i graffiti di notte brillano di luce propria e dentro i grattacieli, trasformati in isole, prosperano soffocanti giungle equatoriali.
Se da un lato l'autore cerca di approfondire maggiormente la psicologia di alcuni personaggi, protagonista ed Epici in primis, dall'altro si avverte rispetto a "Steelheart" un leggero rallentamento nell'azione, con dialoghi più lunghi, specie nella parte centrale del romanzo.
E' immaginabile che la Fanucci, che ha in Brandon Sanderson il suo scrittore di punta (almeno per il genere fantasy), pubblicherà "Calamity", terzo capitolo la cui uscita negli USA è prevista per il 16 febbraio. E forse la casa editrice romana troverà spazio anche per "Mitosis", un racconto del 2013 che cronologicamente si colloca tra i primi due libri.
Non è da escludere che la creazione di Sanderson possa dare vita, in un futuro prossimo, ad una serie televisiva o cinematografica. I presupposti ci sono.


Brandon SANDERSON, FIREFIGHT (Firefight, 2015), trad. di Gabriele Giorgi, Fanucci, Collezione Imaginario Fantasy, pp. 381, 2015, prezzo 16,00 € (ebook 4,99 €).

Stefano Sacchini

IL CICLO DELLA KRONOS di Claudio Chillemi

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Quando parliamo di Claudio Chillemi, non stiamo chiacchierando di un illustre sconosciuto. O almeno così dovrebbe essere. Per quei molti che non lo sapessero, Claudio è uno dei pochi scrittori italiani (il secondo dopo Pestriniero) ad aver pubblicato su una rivista prestigiosissima come "Fantasy & Science Fiction", l'unico a collaborare ormai quasi regolarmente con uno dei grandi della SF americana, Paul Di Filippo. Come qualcuno ricorderà, infatti, Claudio e Paul hanno già scritto insieme una novella e un romanzo breve (The Via Panisperna Boys in "Operation Harmony"--"Fantasy & Science Fiction" 2014--e Horror at Gancio Rosso--Acheron Books 2015). Non bisognerebbe dimenticare anche i numerosi premi e riconoscimenti letterari ottenuti dal nostro, fra cui spiccano numerosissimi premi "Italia" vinti in varie categorie, non solo come narratore ma anche come saggista, fra il 2006 e il 2015. Uno scrittore completo, insomma. Eppure, in quanto scrittore di fantascienza, assolutamente misconosciuto presso il grande pubblico del fandom. Ho ritenuto, quindi, giusto e doveroso dare una pur breve e schematica presentazione di questo suo ciclo fantascientifico che ha al centro la Kronos, una multinazionale priva di scrupoli, e si snoda in tre volumi pubblicati fra il 2009 e il 2015. La fantascienza italiana esiste, è ben viva e produce ottime cose, perfino in un periodo infelice come questi primi quindici anni del nuovo secolo.

1. Kronos.
Buio e silenzio. Tutto tace nella tranquillità notturna di una normale camera matrimoniale. Anche i bambini dormono e nulla lascia presagire ciò che sta per avvenire, a parte i soffici passi dell'assassino. Steve Kronenberg, ingegnere della Kronos, forse la più potente multinazionale della Terra, si ritrova in un sol colpo privato della famiglia arrivando perfino a dubitare della sua sanità mentale. Una serie incredibile di episodi che, dopo la tragedia che lo ha colpito, iniziano a minare le basi di una vita normale e tranquilla. Improvvisi vuoti di memoria, persone mai viste che asseriscono di conoscerlo, addirittura un'amante mai conosciuta prima che giura di incontrarsi con lui ormai da mesi. Troppo per Steve. Troppo anche per il tenente Ted Torres, detective di polizia impegnato nelle indagini. I sospetti di entrambi si puntano sulle ricerche sul tempo dello stesso Kronenberg, originariamente sottratte dai vertici della Kronos a uno scienziato scomparso nel nulla. Ecco che tutto inizia a ruotare attorno alla Kronos e... alla possibilità di realizzare la macchina del tempo.

Pubblicato dall'ottimo editore Della Vigna nel 2009, ma già finalista del "premio Italia", questo romanzo inaugura l'intero ciclo. Nasce e si sviluppa come una sorta di poliziesco tecnologico, di quelli a cui ormai lo stesso premio "Urania" ci ha abituato. Eppure, a mio modestissimo avviso, si distingue per la pulizia dello stilo e per l'onestà della trama che non sembra presentare cali di ritmo o arzigogolate contorsioni più o meno surrealiste. Il romanzo si presenta al lettore a viso aperto, acciuffandone l'attenzione grazie al suo ritmo narrativo e alle interessanti speculazioni tecnologiche di cui è infarcito. In effetti, l'arma fondamentale di cui si serve Claudio è all'apparenza semplice: la messa in scena del rapporto fra tecnologia e potere economico. In questa tematica sta forse il fulcro originario che lega tutti i tre volumi della saga. Quanto possono fare una tecnologia e una conoscenza scientifica asservite al potere economico per il miglioramento del genere umano? Quanto lontano può arrivare una razza umana che mette avanti a tutto i propri scopi privati? A chi giova l'innovazione tecnologica se non è sorretta da un apparato etico più che affidabile? Questi i quesiti al centro della narrazione di un romanzo in cui le vecchie e classiche tecniche investigative si affiancano e si intrecciano a inattese meraviglie tecnologiche. Mi ha colpito per l'apparente semplicità dei sui mezzi narrativi. Una semplicità che, lungi dal tradursi in banalità, rende ancor più vivo il piacere della lettura. A voi ulteriori giudizi.

2. Il lato oscuro della Kronos.
Appropriatasi della tecnologia per navigare nel tempo, la spietata Kronos adesso insegue anche la possibilità di accedere agli infiniti universi paralleli. Per raggiungere i suoi scopi, non esita ad allearsi con una razza aliena le cui motivazioni non appaiono affatto chiare o del tutto comprensibili. Anche in questo caso Ted Torres verrà coinvolto in una serie di indagini apparentemente fuori da ogni logica. Dispositivi che permettono di sognare, armi che possono uccidere riducendo una persona a un cubetto, macchine che tolgono anni di vita a giovani donatori per trasferirli ad anziani facoltosi. Queste sono solo alcune delle interessanti invenzioni alla base delle storie che ruotano attorno alle sinistre trame tessute dalla Kronos.

Pubblicata nel 2011, sempre da Della Vigna, questa raccolta di racconti approfondisce e rende più nitido l'universo futuro in cui si muove la Kronos. La forma narrativa della raccolta di racconti permette a Claudio di spaziare in lungo e in largo per questo suo cosmo futuro. Permette soprattutto di sbizzarrirsi nell'inventare nuovi e più curiosi personaggi da affiancare o da opporre a quelli già presentati nel primo romanzo. Ne risulta un vero e proprio affresco corale, arricchito da nuove voci, situazioni e luoghi (non necessariamente terrestri). Rispetto al primo romanzo, la somma di queste storie ha un respiro galattico. Eppure, le singole storie coinvolgono singole persone mettendole spesso al centro di incubi del tutto privati. Si alza l'asticella, insomma, e si sdoppiano i piani di lettura: da una parte le trame spaziali della Kronos che mirano a destabilizzare la Terra per puro scopo privato, dall'altra le vicende personali dei protagonisti delle storie. Un vero e proprio mosaico in cui, oltre alla Kronos, il vero protagonista è il lato oscuro della tecnologia. Le innovazioni messe sul mercato dalla corporazione, infatti, si rivelano troppo spesso delle vere e proprie trappole per i malcapitati che vi si ritrovano invischiati. I miracolosi dispositivi non risolvono realmente le paure e i problemi che da sempre attanagliano l'individuo, la vecchiaia, l'incapacità di sognare, etc. Promettono ma non mantengono, oppure, come il Mefistofele di Goethe, procurano solo benefici effimeri e alla fine più che dannosi.

3. Quel che resta della Kronos.
Il patto con gli abitanti del sistema di Algheron, già avviato nel precedente volume, è arrivato alla sua conseguenza più nefasta. Il pianeta è squassato da una sanguinosa guerra globale che non sembra favorire nessuna delle parti coinvolte. A cosa mirano i dirigenti della Kronos e i loro indecifrabili alleati alieni? Chi trae beneficio dalla carneficina che si sta consumando nel mondo? Ted Torres e Steve Kronenberg sono chiamati stavolta a sbrogliare una matassa davvero complicata. Chi controlla davvero la mega corporazione? La famiglia Bean, gli alieni o qualcun altro ancora? Ormai i viaggi nel tempo e negli universi paralleli hanno aperto impensabili risorse e possibilità, ma, allo stesso tempo, anche nuovi pericoli che sembrano minacciare la sola e unicà realtà che conta: la nostra, l'unica che abbiamo.

Sebbene uscito nel 2015, questo romanzo ha una gestazione lunga e ricca di pause e cambi di rotta da parte dell'autore. Durante la stesura del romanzo, infatti, Claudio conosce e inizia a collaborare con Paul Di Filippo entrando a contatto con una nuova dimensione dello scrivere fantascienza. Lo si nota dal suo stile, più maturo e professionale in quest'ultima opera. Lo si vede dalla sicurezza con cui padroneggia la coralità dei personaggi tirandone le fila con pazienza e senza strafare. Lo si nota anche dal piacere (quasi perverso) con cui cita le serie televisive più conosciute, quasi facendosi beffe dei mostri sacri a cui qualsiasi lettore è legato. Claudio gioca con se stesso e con chi è destinato a leggere ma, al contempo, è tremendamente serio nello sperimentare. Una sperimentazione finalizzata a migliorarsi, beninteso. Il fastidio di ripetersi è sempre dietro l'angolo quando si inizia una nuova storia, è l'ossessione principale per chi scrive. Credo che, da questo punto di vista, Claudio non sia stato da meno, mettendo anche in pratica l'esperienza maturata con Di Filippo. Ne risulta un romanzone che da solo assomma il numero di pagine dei precedenti due volumi messi insieme, quindi davvero lungo e articolato. Il consueto senso della misura che ha contraddistinto i precedenti capitoli della saga qui è affiancato da un senso di disciplina sempre costante. La trama si allarga e si ingigantisce, diventa una sorta di epopea ricca di personaggi eterogenei e dotati di una propria autonomia. La narrazione è sorretta da uno stile meno descrittivo e più visivo, privo però di fronzoli a effetto. I dialoghi sono più dinamici ed essenziali, aggiungono maggiore fluidità alla trama. Ovviamente, non stiamo parlando di un capolavoro assoluto della letteratura. Questo romanzo, io credo, rappresenta una svolta nel modo di scrivere di Claudio e forse il futuro ce lo potrà confermare. Il romanzo, come gli altri volumi della saga, merita di essere letto e può soddisfare qualsiasi lettore medio. Non aspettatevi di leggere un capolavoro ma, allo stesso tempo, non approcciatevi a questa lettura con sufficienza o con pregiudizio. Potreste rimanerne sorpresi.

Fabio F. Centamore

LO SCRIBA MACABRO di Thomas Ligotti

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Venite, dunque, e chiudetemi gli occhi. Uccidete le creature nelle quali i miei occhi sono stati strascinati. E poi chiudete gli scuri delle vostre menti meglio che potete davanti all'abisso che è dimora della follia delle cose. 
(trad. di Armando Corridore)

Dalla quarta di copertina:
Nelle forme che si nascondono dietro la realtà, nelle scuole frequentate da strani studenti, nei riti antichi dimenticati, la Sua voce ci parla degli orrori che ci circondano e che non vogliamo vedere. Orrori nascosti nel buio e nella luce, nei cinema in sfacelo e nelle antiche case desolate, nelle illustrazioni scellerate di strani libri di preghiera, nei sobborghi di città decadenti e viziose, nelle nebbie crudeli di una primavera precoce. E' la voce di Grimscribe, lo scriba macabro, cantore e custode di ogni orrore.

Chi scrive vuole iniziare con un plauso all'Elara di Ugo Malaguti e Armando Corridore, per aver pubblicato i racconti di Thomas Ligotti, scrittore nato a Detroit il 9 luglio 1953.
Edgar A. Poe, Arthur Machen, Algernon Blackwood, H.P. Lovecraft da sempre sono apprezzati nel nostro paese: letti, studiati, assimilati nonché emulati (nel limite del possibile). In quest'ottica non può non raccogliere consensi la mossa della casa editrice bolognese di presentare due antologie dell'autore italo-americano, considerato da molti uno dei maestri del weirdcontemporaneo, grazie al suo stile raffinato con cui descrive incubi e inquietudini. Ligotti, persona schiva e riservata, è conosciuto e stimato in patria, tanto da aggiudicarsi vari Bram Stoker Awards. Non è un caso se lo sceneggiatore Nic Pizzolato, per i monologhi di un protagonista della serie tv True Detective (2014), si sia ispirato all'opera dello scrittore di Detroit.
Dopo "I canti di un sognatore morto" (Songs of a Dead Dreamer, 1989) nel 2007, la Elara ha presentato nel dicembre del 2015 LO SCRIBA MACABRO (Grimscribe: His Life and Works, 1991), raccolta il cui titolo italiano è stato concordato con l'autore statunitense, al fine di conservare l'asprezza fonetica dell'originale inglese.
I racconti, che si presume vomitati dalla penna di un folle scribacchino, sono cupi, evocativi, inquietanti, miscela di sogno e realtà. Spesso la trama è semplice, a volte quasi assente: un incontro, una passeggiata, un insieme di visioni, l'ingresso in una sala cinematografica di un quartiere periferico. Ricorrente è un processo degenerativo, riconoscibile dal marciume imperante e da onnipresenti ragnatele, che coinvolge indistintamente persone, oggetti e ambienti. Le pagine di Ligotti descrivono paesaggi da incubo, mondi spettrali abitati da creature normalmente celate alla nostra vista ma con le quali conviviamo e che talvolta ospitiamo, ignari, nei nostri corpi. Emerge così una realtà occulta ma influente, fatta di cosmogonie, di demoni, di organismi rivoltanti e di spaventapasseri che preannunciano la fine del mondo, di vetri stregati e di biblioteche maledette, elementi che tanto sarebbero piaciuti al solitario di Providence. Le architetture bizzarre descritte da Ligotti, formate da monumenti angolari e sfaccettati, da edifici sghembi e cumuli montagnosi di pietre muscose, da cimiteri nebbiosi, da pozzi senza fondo, da torri che sfuggono alla geometria euclidea ricordano da vicino la R'lyeh lovecraftiana. Con una differenza rilevante: se la città della mitologia cthulhuniana ha una collocazione spaziale e temporale ben precisa,gli agglomerati urbani di Ligotti passano facilmente dal reame onirico a quello della veglia, e viceversa, compenetrando il tessuto della realtà quotidiana.
Inutile dire che nella visione esistenziale di Ligotti l'essere umano è solo un misero spettatore, nella migliore delle ipotesi, quando non è vittima impotente di poteri cosmici irraggiungibili e incomprensibili.
Una lettura non semplice, viscosa, intrisa di pessimismo e nichilismo. Ma se si riesce a entrare in sintonia con lo stile e, soprattutto, con le atmosfere oscure e angoscianti, si viene trascinati in una spirale di orrori difficilmente dimenticabili.

LO SCRIBA MACABRO è stato inserito all'interno della collana Libra Fantastica, che esce in edicola. Dopo febbraio sarà possibile acquistare il volume direttamente dal sito www.elaralibri.it. 

Thomas LIGOTTI, LO SCRIBA MACABRO (Grimscribe: His Life and Works, 1991), trad. di Armando Corridore, Elara, collana Libra Fantastica, pp. 223, 2015, prezzo 16,50 €.

Stefano Sacchini
 

SPORE di Andrea Viscusi

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Andrea Viscusi è il volto nuovo della fantascienza italiana, salito agli onori delle cronache per la pubblicazione lo scorso anno del suo primo romanzo.
Dopo aver letto, e apprezzato, Dimenticami, Trovami, Sognami (pubblicato da Zona 42) ho deciso di dare ancora fiducia ad Andrea e ho acquistato Spore, la sua prima antologia che contiene nove racconti di cui cinque inediti:
  • Spore: un uomo decide di farsi seppellire all'interno di una speciale tuta nella quale sono contenute spore di funghi che ricicleranno il suo corpo. Dopo di lui l'intera umanità prenderà una strada completamente diversa.
  • Il giorno più importante: sul finire dell'anno 2012, il protagonista si sveglia il giorno del suo matrimonio. Deve raggiungere la sua futura sposa, ma c'è qualcosa di estremamente strano, quella mattina, e il tragitto si rivela pericoloso.
  • Natura morta: nell'appartamento di due universitari la frutta marcisce con insolita velocità. Potrebbe essere semplice incuria degli inquilini, ma anche qualche insolito fenomeno fisico/biologico...
  • Il Dottipardo: una società composta interamente da uomini, e regolata dalle disposizioni dogmatiche di un Libro. Almeno finché qualcuno non inizia a porsi delle domande.
  • Cattivi genitori: in un istituto speciale che cura la formazione di un ristretto numero di ragazzi, gli studenti scoprono gradualmente quali sono le loro origini, e lo scopo a cui i loro tutori li hanno destinati.
  • Il guardiano del faro: un'entità artificiale acquista capacità di pensiero, analizzando i dati a sua disposizione si interroga sulla sua natura e funzione.
  • Stelle cadenti: un remoto pianeta viene attaccato dall'avanguardia di un potente impero interstellare. L'unica possibilità di respingere l'occupazione è nelle mani di un giovane miliziano che non sa niente di come si combatte una guerra.
  • Sinestesia: in seguito a un incidente sul lavoro, un ragazzo scopre di avere un cervello minuscolo, e poco dopo tenta di uccidere la donna di cui è innamorato. O almeno così sembra, ma le sue intenzioni sono ben diverse.
  • La staffetta: in un futuro remoto, la popolazione terrestre si è ridotta a un numero esiguo di individui immortali. Ma sono davvero gli unici essere intelligenti sul pianeta?


Come si può intuire da queste brevi descrizioni la fantascienza di Viscusi ricorda da vicino le origini del genere. Sono storie semplici, con pochi ed essenziali personaggi, ma raccontate con uno stile privo di orpelli e così scorrevole che il libro si potrebbe finire letteralmente nel giro di un paio d'ore di lettura ininterrotta. Ricorrente è il tema dell'identità, intrecciato al destino dell'uomo come individuo ma soprattutto come specie. E forse non a caso il primo e l'ultimo racconto sono stati posti in apertura e chiusura di volume , ma capirete meglio se deciderete di dar fiducia a questo giovane ma molto promettente autore. Quella di Viscusi è fantascienza fresca, un ritorno per certi versi alle origini di un genere che forse alla ricerca di una dignità letteraria ha reso troppo complesse trame e storie al punto da risultare alle volte persino troppo complesso. Con Viscusi non si corre questo rischio, le sue storie sono semplici, essenziali, mai troppo ricercate, ma capaci di arrivare subito al punto. Racconti coinvolgenti, con un pizzico di speculative fiction e non privi di quel sense of wonder che tanto ha significato per il nostro amato genere. Provare per credere.

Vincenzo Cammalleri


TRILOGIA NOCTURNA di Hogan-DelToro

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"Un Boeing 777 atterra regolarmente all'aeroporto di New York e rimane immobile sulla pista, a motori spenti. Le tendine sono abbassate, il portellone non si apre, il pilota non risponde alle chiamate radio né i passeggeri al cellulare. Si sospetta un attentato terroristico, ma le forze speciali, incaricate di salire a bordo, si trovano invece di fronte a una scena agghiacciante: sembra che tutti gli occupanti dell'aereo siano inspiegabilmente morti. Per risolvere il caso vengono convocati Eph Goodweather, dell'Ente prevenzione malattie infettive, e la sua collega Nora Martinez. Esaminando i cadaveri i due si accorgono che le vittime non presentano segni né di panico né di agonia; qualunque ne sia stata la causa, la morte deve averli colti di sorpresa. Nemmeno i quattro superstiti trovati per miracolo da Eph e Nora sono d'aiuto, poiché nessuno di loro ricorda nulla. La notizia dell'accaduto si diffonde attraverso i media e arriva fino ad Abraham Setrakian - un anziano ex professore sopravvissuto all'Olocausto -, l'unico in grado di capire la situazione. L'uomo riconosce che quel fatto inspiegabile è in realtà un'incursione, l'evento a lungo atteso e a cui si è preparato per tutta la vita... Il morbo letale che ha infettato il Boeing si diffonde per le strade di Manhattan, dando inizio a uno scontro in cui gli umani diventano il cibo di misteriosi esseri soprannaturali. Con l'aiuto di Setrakian, Eph dovrà cercare di fermare il contagio e salvare la città prima che sia troppo tardi... Guillermo Del Toro, affermato regista, e Chuck Hogan, autore di thriller, rinnovano gli schemi del genere horror, facendo de La progenie un romanzo ad alta tensione visionaria che ci trascina nel cuore di un'epica battaglia tra bene e male, vita e morte, umano e disumano"

Vi piace l'Horror? Vi piacciono i vampiri degni di tale nome? Vi piacciono inquietanti prospettive escatologiche? Vi piace l'immaginario di Guillermo del Toro? Vi piace una scrittura alla Michael Crichton?
Bene, se avete risposto a tutte le domande con un sì, allora la Trilogia Nocturna è quella che fa per voi.

Premetto, io odio le saghe, e cercando qualcosa per superare questo scoglio ho voluto fidarmi di Del Toro che, come regista, non mi ha mai deluso. Quando ho avuto il primo romanzo tra le mani, La Progenie, e ho letto sulla sovraccoperta lo slogan: "tra Bram Stoker, Stephen King e Michael Crichton. Eccezionale", mi sono detto, sì, vabbè e magari farà anche il caffè. Poi, però, piacendomi il genere, gli ho voluto dare comunque fiducia e posso dirvi che mai definizione è stata più appropriata.
La trilogia di Chuck Hogan e Guillermo Del Toro è stata capace di rinverdire la figura dei vampiri attraverso un duplice approccio, quello scientifico epidemiologico, legato a una particolare forma di parassiti, e quello più storico esoterico, che richiama la tradizione romantica creando la giusta atmosfera. Dimenticate vampiri un po' frù-frù bellocci e nauseabondi, qui parliamo di carne e sangue a galloni altro che sfrangiamento di maroni. 

Una squadra eterogenea che indaga in modo corale, mostri degni del miglior Del Toro, ex nazisti, un cattivone (il Padrone) inquietante come pochi, situazioni che vanno o male o peggio, vampirismo reso credibile da argomentazioni mai prolisse, combattimenti all'arma bianca, libri antichi perduti nel tempo, prospettive apocalittiche, guerre politico-economiche, insomma, non ci facciamo mancare proprio niente.

I romanzi non sono scorrevoli, di più, con uno stile che ricorda il Re e un insieme di ritmi, preparazione scientifica e tono realistico degni del miglior Crichton. L'opera non è mai noiosa, è serrata e priva di momenti morti con continui colpi di scena. I personaggi sono originali e interessanti (Setrakian su tutti) e non vedi l'ora di andare avanti e scoprire cos'altro potrà andare all'aria.
Per quel che mi riguarda, non posso che suggerirvi vivamente la lettura di questa trilogia e state certi che non ne rimarrete delusi.
Consigliato? No, consigliatissimo!

La progenie (The Strain), Mondadori, 2009, 432 pp., ISBN 9788804593805
La caduta, Mondadori, 2011, 303 pp.,  ISBN 9788804611332
Notte eterna, Mondadori, 2012, 380 pp., ISBN 9788804614890

Buona lettura.

Marc Welder

LA PIRAMIDE SOTTOMARINA DELLA DINASTIA TANG - Walter Jon Williams.

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Sono molte le navi che fanno la spola fra Hong Hong e Macao, ognuna di loro si sforza di proporre un tema particolare al viaggiatore, un'esperienza di crociera unica. Così è anche per la Dinastia Tang, una nave da crociera che riproduce le atmosfere della Cina imperiale sotto la dinastia Tang. Gli spettacoli a bordo non mancano di certo. Ci sono i vampiri salterini, che inscenano ogni sera uno spettacolo fra l'acrobatico e il gran guignolesco. Ci sono soprattutto i danzatori acquatici con le loro incredibili coreografie e una simpatica band di musica popolare andina. Vi chiederete, cosa ci fanno dei musicisti andini a bordo di una nave da crociera cinese? Ovviamente, non tutto è ciò che sembra a bordo della nave. Tantomeno lo sono i musicisti andini e i ballerini acquatici, i quali dietro la rispettiva facciata artistica nscondono ben più. Il vero segreto, tuttavia, non si trova a bordo ma sotto il mare. Da qualche parte fra Hong Hong e Macao, una preziosa cassa giace laggiù nel fondale fangoso. Chi sarà così spericolato da arrivare per primo a recuperarla? Chi ne subirà le inevitabili conseguenze per primo?

Capita, a volte, nella vita che le apparenze ingannino e non ce ne stupiamo affatto. Nella narrativa di Walter Jon Williams la regola è un'altra: l'apparenza è sempre più reale della realtà. Raccontare una storia significa, insomma, evocare un qualcosa di magico, compiere un gioco di prestigio, un abracadabra di parole, personaggi e atmosfere. Esattamente la definizione di questo pregevolissimo romanzo breve, un fantasmagorico gioco di prestigio. I giochi di prestigio, si sa, non sono altro che magnifici inganni. Solo adorabili truffe in cui ci fanno apparire per vero ciò che vero non lo è affatto. Ci spacciano per credibile l'assurdo e l'impossibile. Cosa ci diverte, allora, in un gioco di prestigio? Cosa lo fa essere un qualcosa di artistico? La solidità della sua trama, amici miei. Null'altro che quello, la sua consistenza interna. Più una cosa sembra vera, più tendiamo ad accettarla. No, non sto parlando di trucchi magici, non sto recensendo un bellissimo film di qualche anno fa con Hugh Grant e Christian Bale (The Prestige - 2006). E no. Sono qui a parlarvi de La piramide sottomarina della dinastia Tang, romanzo breve di Walter Jon Williams apparso sulla webzine "Sci Fi" nell'agosto del 2004 e recentemente pubblicato da Delos Digital nell'ottima collana "Biblioteca di un Sole Lontano". Parlo insomma di letteratura e, implicitamente, parlo della fantascienza di un autore eclettico e mai banale o prevedibile.


Walter ama giocare con i lettori e con se stesso, ama catturare l'attenzione e farsi catturare egli stesso dalla sua scrittura. Ecco perché le sue opere hanno quasi sempre, almeno le più riuscite, il crisma del gioco di prestigio. È il caso di questo romanzo breve, una novelette sospesa fra il puro divertissement, lo spionaggio e la fantascienza. Una storia in cui l'autore aggiunge una bella fetta di vita ed esperienze personali. Dall'alto della sua notevole esperienza nelle immersioni, Walter non poteva non descrivere nei dettagli le avventure sottomarine (e i molti imprevisti) della squinternata banda di spie/musicisti folk al servizio di un misterioso inventore. Non sono, comunque, le esperienze subacquee dell'autore il fulcro della storia. Hanno, tuttavia, la funzione di agglutinare e dare sostanza allo scenario in cui si muovono i personaggi. Già, i personaggi. Il vero pezzo forte della storia sono loro. Come attori di una farsa dialettale, i personaggi sono colorati, ricchi di gustose e sorprendenti sfaccettature e spesso sanno svelare anche qualcosa di inatteso al lettore. In sostanza, la storia sono loro, i loro ruoli improbabili, le loro interazioni scorrevoli e dinamiche. A tratti forse un po' fumettistici (come, del resto, è nelle corde di questo ottimo autore) ma difficilmente banali, anzi. 

Fabio F. Centamore

CACCIA ALLO SNARK di Mike Resnick

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Nato a Chicago nel 1942 Mike Resnick ha frequentato la University of Chicago dal 1959 al 1961, ed è proprio lì che ha incontrato la sua futura moglie, Carol, che avrebbe sposato nel 1961 e sarebbe stata la sua fedele compagna di vita per più di cinquanta anni. Resnick ha iniziato la sua carriera assai presto arrivando a pubblicare il suo primo romanzo a vent’anni. Autore estremamente prolifico, vanta circa duecento racconti e oltre cinquanta romanzi al suo attivo. Ciò nonostante Resnick è anche uno scrittore di elevata qualità, come testimoniano i ben cinque premi Hugo vinti (più un Nebula), e le numerose nomination a tutti i massimi premi del settore (ben 37: un vero record!). Amante dell’Africa e dei suoi popoli e animali, Resnick ha utilizzato quel continente e le sue culture nelle sue opere più celebri, come per esempio il ciclo di Kirinyaga, che racconta la storia futura delle tribù Kikuyu, e che Delos Digital sta pubblicando in Italia.
Caccia allo Snarkè una vivace storia d’avventura spaziale ed è anche una storia di caccia che si basa sulle esperienze africane dell’autore. Questa novella, finalista nel 2000 al premio Hugo, racconta l’inseguimento, su un lontano pianeta ancora non civilizzato, di un terribile predatore, lo Snark, il cui nome deriva, come molti sapranno, da un celebre poemetto di Lewis Carroll. Oltre ad essere un omaggio al grande scrittore inglese creatore delle avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, è un avvincente racconto di fantascienza tradizionale, con un finale a sorpresa nel tipico stile di questo autore.
Ho sempre tenuto sott’occhio le uscite della Biblioteca Di Un Sole Lontano, primo perché sonoun lettore di fantascienza, e benedico tutte quelle uscite che possono offrire belle storie e bei racconti da leggere, secondo perché questi sono tutti curati da Sandro Pergameno, vero e proprio deus ex machina della fantascienza italiana; senza soffermarsi nel descrivere la quantità e qualità delle opere che Pergameno ha portato in Italia, sin dagli anni della Nord, ma prendendo atto che ogni suo suggerimento è da seguire, e conoscendo già l’autore grazie alla serie che Urania sta pubblicando su Wilson Cole, ovvero Gli ammutinati dell’astronave (Urania 1579), I pirati e l’astronave (Urania 1591), Astronave mercenaria (Urania 1614) e I ribelli e l’astronave (Urania 1620), tutti romanzi da me apprezzati, non mi è rimasto che affrontareCaccia allo Snark.
Ammetto di essere in difficoltà in merito all’ovvio richiamo che questo romanzo fa al poemetto di Lewis Carroll The Hunting of the Snark, non avendolo mai letto, ma ho potuto rimediare grazie all’autore, che ha deciso di inserire intere strofe prima di ogni singolo capitolo, come a richiamare quel che sarebbe successo, e dando modo a lettura ultimata di poter ricomporre le strofe una di seguito all’altra.
Karamojo Bell è una guida, e lavora per la più antica e famosa azienda di safari universale, e il suo lavoro consiste nel condurre i clienti nei nuovi mondi, mai colonizzati, ma scoperti da poco da esploratori. Nel suo lavoro è aiutato da un capitano, pilota della nave spaziale, da 12 dabih, umanoidi con la pelle blu e piccoli di statura; costoro si suddividono vari incarichi; cuoco, scuoiatori (ebbene sì, andando a caccia di animali sconosciuti è un mestiere che serve), armieri (uno per cliente), uno di loro, Chajinka, fa il battitore ed è il braccio destro di Karamojo. Resnick riesce con pochissime frasi a descrivere per filo e per segno i personaggi, i quattro clienti sono così subito inseriti nel racconto: c’è il tipo che ha già fatto molti altri safari, è spavaldo e si sente sicuro col fucile in mano, c’è il tipo che pensa di poter fare degli ologrammi (è evidente che si tratta di una versione futuribile delle fotografie) e basta, pavido, e sua moglie, un giudice, infine un quarto magnate, venuto con gli altri amici solo per festeggiare il fatto che insieme avevano guadagnato l’ultimo miliardo. Chajinka pare invece una miniatura di uno scout indiano, con le stesse abilità nel trovare le tracce, nell’ascoltare e captare i segnali che una foresta (e gli animali che ci vivono) invia.
Una volta atterrati nel pianeta a loro destinato l’inizio sembra tutto un gioco, con i quattro che vorrebbero iniziare a darsi da fare, andando subito a cacciare, e poco dopo diventa un gioco ancor più divertente quando i primi colpi vengono sparati e i primi trofei vengono presi. Ma, come a volte succede, la sorpresa è dietro l’angolo: la prima è quando Bell e il suo battitore scoprono che alcuni predatori, di notevole mole, sono stati uccisi da quello che si prefigura essere un altro predatore, molto più pericoloso, e successivamente quando discorrendo con il clienti si conferma l’idea che tale predone possa essere uno Snark. Andando avanti si comincerà a vedere che quello che voleva essere una divertente e avventurosa gita diventa invece l’esatto opposto, una drammatica e inquietante esperienza, che decimerà gli “ardimentosi” e i loro dabih. Partiti con l’idea di essere cacciatori, scoprono sulla loro pelle di essere invece prede, fino ad arrivare ad un finale tragico.
L’autore, che nel passato  è stato più volte in Africa, trasmette il suo amore per il continente con la descrizione di questo nuovo e inesplorato mondo, descrivendo ambienti e animali in modo da renderceli reali. Questo breve romanzo (una settantina di pagine circa) ha molteplici punti di forza, iniziando dallo stile dell’autore, ironico, ficcante, con discorsi sempre molto efficaci, alla descrizione del mondo, dei personaggi, andando poi all’uso di pochi elementi (i t-pack, apparecchi traduttori, le foto- ologrammi, i mondi da esplorare, la navicella spaziale…) che rendono questa una storia di fantascienza (fantascienza esplorativa e di viaggi spaziali). Ma, a mio parere, la bellezza risiede nel pathos che aumenta di pagina in pagina, e nel colpo finale, un vero e proprio gioiello, un coup de théâtre che vale da solo il prezzo del libro.
Si dice che la fantascienza dia il meglio di se nei racconti e nei romanzi brevi, in questo caso non posso che essere completamente d’accordo. Lo consiglio sicuramente, così come suggerisco di tenere sempre “l’ereader” pronto quando escono i racconti della Biblioteca Di Un Sole Lontano.
 
CACCIA ALLO SNARK di Mike Resnick
Biblioteca Di Un Sole Lontano, Delos Digital, 2,99 euro ebook  
Romanzo breve di 70 pagine (circa)
Traduzione di Fabio F. Centamore

Andrea Di Carlo
 

LA CERIMONIA di Laird Barron

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Sono un uomo adulto… Ho un dottorato, che diamine! Non ho mica paura di mia moglie!. 
(trad. di Andrea Bonazzi)



Dalla quarta di copertina: 
Ci sono strane cose che sopravvivono ai margini della nostra stessa esistenza, che ci seguono al limite della nostra percezione, ci osservano dal buio che incombe oltre il calare della notte, solo un passo al di là del confortante calore delle luci. Neri portenti, strani culti, e cose anche peggiori attendono nell’ombra. I Figli dell'Antica Sanguisuga sono fra noi da tempo immemorabile, dall’alba dell’umanità ci accompagnano…
Donald Miller, geologo e accademico oggi ormai ottuagenario, da una vita cammina sul ciglio d'un abisso, tra i vuoti di memoria che gli oscurano la mente e certi improvvisi lampi d'inquietanti ricordi, che a tratti lo risvegliano a una realtà sinistra celata appena sotto il tenue velo d'amnesia, la sottile cortina della quotidianità. Sparsi frammenti, ora destinati a convergere verso una rivelazione sconvolgente, ciò che l'Oscurità, l'abisso oltre le stelle, ha infine per noi in serbo. 

LA CERIMONIA (The Croning, 2012), di Laird Barron (classe 1970), è un solido romanzo ascrivibile al genere weird, incentrato sul rapporto di coppia. A una moglie sfuggente, piena di segreti e lati oscuri si contrappone un marito tranquillo e senza doti particolari; un marito costretto, suo malgrado, ad affrontare situazioni sconvolgenti, che riesce a salvare la propria integrità mentale solo grazie a provvidenziali e selettive amnesie.
Indubbiamente c'è qualcosa che cattura, qualcosa di apparentemente indefinibile, nella giostra temporale che comincia con un prologo ambientato in un mondo antico e magico e continua con scene che si svolgono, alternativamente, al giorno d'oggi e in vari momenti della vita del personaggio principale, il geologo Donald Miller. Chi scrive è rimasto colpito non solo dalla trama, basata su un culto segreto e crudele che sopravvive al trascorrere del tempo, ma soprattutto dalla singolare relazione che corre tra il protagonista e la moglie Michelle. Molto si gioca sulla capacità d'immedesimazione del lettore: di immaginarsi di vivere, nei panni di Donald, accanto ad una donna inquietante e in situazioni solo apparentemente normali. Di normale in realtà c'è ben poco: la follia irrompe improvvisamente nella vita di Donald, con notti cariche di spavento e passeggiate in boschi maledetti. Costante è la minaccia di una presenza, sottile e misteriosa, che si manifesta con rumori notturni, in una foto d'epoca o in un déjà vu che provoca nel protagonista, sempre più perplesso, la sensazione di un'esperienza vissuta in precedenza, un'esperienza estremamente sgradevole. Solo la rivelazione finale consente al lettore di incastrare ogni elemento nella giusta posizione.
Bisogna dare credito all'autore, originario dell'Alaska, per non aver indugiato in scene truculente: il sangue ovviamente c'è, ma non è con questo artificio che Barron tiene alta l'attenzione del lettore, bensì con la suspancecontinua e la sensazione di precarietà diffusa. E' impossibile prevedere che tipo di orrore possa saltare fuori dalla pagina successiva, né tantomeno quale mostruosità attende dietro l'angolo o in fondo alle scale.
Consigliato agli amanti del fantastico alla Machen, alla Lovecraft o, più vicino a noi, alla Ligotti, a tutti coloro che rimangono affascinati dalle cosmogonie inquietanti e dagli orrori ancestrali. 

Laird BARRON, LA CERIMONIA (The Croning, 2012), trad. di Andrea Bonazzi, Edizioni Hypnos, collana Modern Weird, pp. 348, 2015, prezzo 17,90 € (ebook 6,99 €). 

Stefano Sacchini 
 

ANNA di Niccolò Ammaniti

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Quello di Niccolò Ammaniti non è certo un nome sconosciuto ai lettori italiani, ma non credo di sbagliare poi tanto nell'affermare che fra gli appassionati di fantascienza i più lo conosceranno per sentito dire e non per aver realmente letto le sue opere. Con Anna (Einaudi, 2015) l'autore fra gli altri di Io non ho paura tenta di portare le qualità che lo hanno resto così famoso nell'ambito del fantascientifico e, più precisamente, nel sottogenere post-apocalittico.
La vicenda si svolge in Sicilia nell'Anno Domini 2020. La Rossa, una malattia infettiva terrificante, ha sterminato gli esseri umani in età postpuberale, lasciando il pianeta ai soli sopravvissuti: i bambini. Sembra infatti che il morbo contagi qualunque essere umano, ma rimanga latente fino alla pubertà e solo allora manifesta tutta la sua virulenza segnando in maniera inequivocabile il destino del malcapitato.

Anna, la protagonista di questo romanzo, è la sorella maggiore di Astor. Dopo la morte della madre si è presa cura del fratellino cercando di vivere una vita tutto sommato anche fin troppo normale e serena. Ma la loro tranquillità verrà interrotta quando un gruppo di bambini farà irruzione nella villa e, mentre Anna è lontana in cerca di cibo, rapiranno il povero Astor costringendo la sorella maggiore ad abbandonare la casa per ritrovare il fratellino. Anna farà nel suo viaggio la conoscenza di Pietro, alla ricerca di un modello di scarpa che a suo dire garantisce l'immunità dal virus, e comincerà un pellegrinaggio che, tra violenze e ineluttabilità, non sarà privo di una briciola di speranza.

Il romanzo, che può in effetti essere considerato uno Young Adult, si può forse riassumere in una semplice frase: “la vita non ci appartiene, ci attraversa”. Questa è in effetti l'impressione che rimane dopo aver terminato la lettura. La storia rimane inconcludente, il finale completamente aperto lascia ipotizzare un possibile seguito, sembra quasi che una volta finito il libro ci si renda conto di aver letto una storia come mille altre, del tutto insignificante e priva di un qualunque valore che non sia quello soggettivo dei suoi protagonisti.
Il personaggio di Anna è discretamente caratterizzato, ma tutti gli altri bambini sono nulla più che macchiette finite nelle pagine del romanzo per uno scopo preciso. Non c'è profondità, non c'è patos. E questo è forse il tasto più dolente: la narrazione non raggiunge mai quei livelli di coinvolgimento che ci si potrebbe aspettare. Ammaniti è conosciuto per essere uno scrittore che conquista i suoi lettori di pancia, ma in questo romanzo di emozioni pure ce ne sono poche. I bambini sembrano privi di anima, quasi assenti nel manifestare ansie e paure, speranze e affetti. In questo senso rimane un'opera piuttosto mediocre come Young Adult, e in quanto al paragone con altre opere post-apocalittiche non regge certo il paragone con i capolavori del genere o con il neppure troppo recente La Strada di McCarthy. Qualunque paragone con Golding e il suo Il Signore delle Moscheè fuorviante e impietoso, in Anna non c'è tensione, non c'è orrore, non c'è evoluzione della personalità, non c'è paura e perfino la speranza che a tratti compare nel romanzo è qualcosa che sembra capitata lì per caso e non certo sentita e vissuta dai protagonisti.

In effetti la parte migliore del romanzo è l'inizio. Le prime pagine, che di fatto costituiscono la premessa, sono quelle più riuscite. In esse Ammaniti descrive il diffondersi dell'infezione e gli eventi che portano i due bambini a rimanere soli in una villa fuori città, mostrando tutto il suo talento nel catturare il lettore e obbligarlo a rincorrere le pagine nell'affamata voglia di sapere come andrà a finire. Poi, purtroppo, tutto questo viene a mancare e la narrazione diventa un semplice racconto di eventi senza troppo significato.
Inutile dire che ci si aspettava di più da un'opera tanto pubblicizzata e che rappresentava la prima incursione nel mondo della fantascienza da parte di un autore ben conosciuto al pubblico e che si dichiara lettore di fantascienza.

Una curiosità per i lettori più attenti: la madre di Anna era una studentessa di lettere che una volta ottenuta la laurea comincia subito a lavorare come supplente nei licei del palermitano e finisce per ottenere una cattedra nel giro di pochi anni. Forse è questo il vero elemento fantascientifico nel romanzo: è infatti abbastanza noto come in Sicilia sia praticamente impossibile non solo ottenere una cattedra in un liceo nel giro di pochi anni (ecco il motivo per cui così tanti docenti del Nord-Italia vengono dal Sud), ma perfino per ottenere delle supplenze è necessario prima fare la gavetta per acquisire punteggio. Ma, del resto, è pur sempre fantascienza. Questa è ovviamente una chicca di nessuna importanza per la storia. Nulla toglie al romanzo, che purtroppo resta un'opera mediocre e di scarso valore letterario.

In conclusione l'opera presenta degli spunti validi che però non sono sufficientemente sviluppati, le premesse iniziali vengono infatti disattese da uno sviluppo di trama e personaggi non all'altezza. Non aggiunge nulla a un tema che nell'ambito fantascientifico è stato sviscerato da fiori di scrittori, ma che forse risulta ancora fresco a chi la fantascienza l'ha sempre vista da lontano con la puzza sotto il naso.
È forse questa l'unica spiegazione di un fenomeno mediatico che, a conti fatti, delude completamente le aspettative.

Vincenzo Cammalleri



MALZBERG: Chi era costui? di Umberto Rossi

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Se uno segue le conversazioni su un gruppo FaceBook come Romanzi di Fantascienza noterà che alla fine i nomi che ricorrono sono più o meno quelli: nomi di scrittori, intendo dire, che si chiamino Vance o Gibson, che si chiamino Clarke o Heinlein. I Classici Che Tutti Conoscono.
Certi nomi invece escono fuori di rado. Uno di questi appartiene a un autore ancora vivente, ma che da molto non frequenta più il genere che tanto ci piace, e cioè Barry Norman Malzberg, nato nel 1939, quindi settantaseienne. A quest'età uno dovrebbe essere una specie di santone della fantascienza, di Grande Vecchio, come lo erano Asimov e Bradbury negli ultimi anni della loro vita: ma a Malzberg la fama non arride, o meglio, si sa che c'è, si sa che esiste uno scrittore di questo nome, ma cosa ha scritto esattamente, di cosa parla, cosa gli associ, ecco, tutto questo spesso manca. Non c'è quel titolo famoso o quell'idea di successo che ti viene subito in mente a sentirlo nominare. Eppure se uno va a consultare la Wikipedia (ovviamente inglese) trova che esiste addirittura una voce sulla bibliografia dello scrittore, tanto grande è la sua produzione, che troverete qui:
https://en.wikipedia.org/wiki/Barry_N._Malzberg_bibliography
e scoprirete che questo personaggio sicuramente è piuttosto curioso. A parte il suo alternare la scrittura di romanzi e racconti di fantascienza con libri erotici (non pochi scritti sotto diversi pseudonimi), e dieci romanzi hard-boiled piuttosto brutali centrati su un personaggio dall'eloquente nome di Lone Wolf* (in questo Malzberg ricorda altri autori che hanno alternato giallo e fantascienza, come Sheckley, Bradbury, Asimov stesso...), la quantità dei suoi titoli è sicuramente cospicua (siamo attorno alla cinquantina tra romanzi e raccolte di racconti); eppure la sua narrativa più lunga si ferma al 1985; dopo quella data escono solo raccolte.
Si potrebbe pensare a uno scrittore che abbia esaurito la sua vena, o che non sia stato apprezzato. Eppure è amico di Mike Resnick, è stato imitato da Paul Di Filippo, lodato da Theodore Sturgeon e (udite udite!) Harlan Ellison, inoltre pubblica regolarmente una rubrica di consigli agli scrittori sul SFWA Bulletin (rivista dell'Associazione americana di scrittori di fantascienza); insomma non è esattamente uno sconosciuto nel settore.
Però, lo ammetto, non è proprio uno di quei nomi che sentirete nominare spesso da cultori e appassionati. Anche i massimi esperti di casa nostra convengono che sia uno scrittore poco conosciuto; e anche poco tradotto. Il mitico catalogo Vegetti elenca solo otto romanzi, e l'ultima ristampa risale al 1973; in realtà il Vegettalogo non è aggiornato, per cui bisogna dire che di recente Mimesis ha ripubblicato Oltre Apollo, purtroppo in una traduzione che lascia alquanto a desiderare; Uraniaha fatto la sua parte, riproponendo nel 2012 Il mondo di Herovit; nello stesso anno Edizioni della Vigna ha proposto Galassie (aggiungo che fortunatamente tutti e tre questi titoli sono disponibili in formato ebook su Amazon.it). Oltre a questo sparuto manipolo di titoli da scaricare o andare a cercare per bancarelle o su comprovendolibri.it, ci sono parecchi racconti, ma sapete com'è con la narrativa breve, si disperde in tante raccolte o in appendice a qualche vecchio Urania, quindi reperirla non è affatto facile, anzi!
E comunque, quattro quinti dell'opera di Malzberg non sono disponibili in italiano; togliamo pure la serie di Lone Wolf e i romanzi erotici, restano comunque più di venti romanzi di fantascienza (più tanta saggistica); insomma, vediamo sì e no la punta dell'iceberg. Ebbene, questo articoletto cercherà di farvi conoscere un po' meglio questo scrittore, anche se non mi sarà possibile fare una panoramica completa. Più che altro toccherò alcune opere, non tutte tradotte, tanto per consentirvi di farvi un'idea; dopodiché, buona fortuna nella caccia al libro.

Partiremo da un romanzo non tradotto che s'intitola The Falling Astronauts, risalente al 1971. Gli astronauti cadenti, potremmo dire, o in caduta magari libera. Non dobbiamo trascurare il contesto storico; solo due anni prima Armstrong, Aldrin e Collins con l'Apollo 11 avevano raggiunto la Luna e vi avevano piantato la bandiera americana (non cominciate con le storie del complotto che sulla luna non ci siamo stati; sareste a livello di quelli che ancora non hanno mandato giù Copernico e Keplero...). Anzi, si era nel pieno del programma, visto che allo sbarco del luglio 1969 avevano fatto seguito altre tre missioni (più quella abortita dell'Apollo 13), e nell'anno seguente si sarebbero avute le ultime due, la 16 e la 17. Era un tripudio per gli Stati Uniti, che avevano recuperato il ritardo con cui si erano gettati nella corsa allo spazio (avviata dall'URSS con lo Sputnik e il volo di Gagarin); un trionfo non solo simbolico, dato che (e oggi lo sappiamo ancor meglio di ieri), le tecnologie dello spazio erano in gran parte le stesse che servivano alle superpotenze per dotarsi di armi sempre più devastanti (soprattutto i missili intercontinentali balistici che potevano, e ancora possono, colpire qualsiasi punto del pianeta con testate all'idrogeno). E ricordiamo che il presidente della Luna non era più Kennedy (che pure aveva lanciato il progetto Apollo) né Johnson (che molto ci aveva investito, coi programmi Mercury e Gemini) ma niente di meno che Richard M. Nixon, che nel 1971 ancora non era andato a sbattere nello scandalo Watergate. America trionfante, appunto, con uno spettacolo iper-tecnologico diffuso dalla televisione su scala mondiale anche per far dimenticare le amarezze del Vietnam.
Ma un'altra comunità festeggiava le imprese lunari, una comunità non solo statunitense, e cioè quella degli scrittori e degli appassionati di fantascienza. Lo spazio non stava più solo dentro le riviste e nei volumetti di Urania (per noi italiani); lo spazio era a portata di mano, o meglio di missile. Col Saturno V del grande Wernher Von Braun (dei suoi trascorsi nelle SS non se ne parlava ancora...) eravamo arrivati sulla Luna, Marte sembrava logicamente la prossima tappa, e poi, come aveva detto Kubrick nel film epocale di quegli anni, Giove e oltre l'infinito...
Proprio nel bel mezzo di tutto questo esce The Falling Astronauts, opera di uno scrittore allora poco più che trentenne, sicuramente appartenente alle nuovissime leve della fantascienza anche rispetto ai nomi nuovi degli anni Sessanta (Dick, Ballard, Zelazny, Moorcock, Delany, Russ, Tiptree, LeGuin...). Il romanzo è ai limiti tra fantascienza e realismo; niente viaggi interstellari. Parla un astronauta fallito, Richard Martin, che durante una missione Apollo è stato colto da una vera e propria crisi isterica mentre, in orbita attorno alla Luna, non aveva altro da fare che aspettare il ritorno a bordo dei due astronauti scesi sul nostro satellite. La botta da matto (che viene descritta per frammenti man mano che la storia procede) gli è costata la carriera, anche se l'Agenzia (cioè la NASA) non ha ritenuto opportuno divulgare la faccenda; lo hanno tenuto in servizio (per il momento) ma invece di prepararsi a un'altra missione (del tutto esclusa!) si occupa di conferenze stampa dove i soliti giornalisti fanno le solite domande con risposte preconfezionate dall'Agenzia. La NASA vuole vendere l'idea che lo spazio non è niente di pericoloso e minaccioso; che tutto funziona a dovere; che gli astronauti sono professionisti colla testa sulle spalle che sanno quello che fanno; che tutto nelle missioni è programmato a puntino e funziona come un orologio svizzero (o il motore di un'autovettura tedesca...). Insomma, niente imprevisti, niente sorprese, niente colpi di testa; per cui la crisi di nervi del protagonista di The Falling Astronauts non deve trapelare; nessuno deve saperne niente.
Fin qui, di fantascienza non ce n'è molta: la storia della crisi di nervi di Martin si rifà alla difficile missione Mercury di Scott Carpenter (Aurora 7, Maggio 1962 per la precisione), che ebbe seri problemi tecnici durante il rientro, tanto che venne dato per morto finché la sua capsula non venne ritrovata a più di 300 chilometri dal punto previsto di ammaraggio; e si racconta che Carpenter chiedesse affannosamente per radio di essere tirato fuori dalla capsula ( non a caso le sue parole costituiscono l'epigrafe del romanzo di Malzberg). Insomma, in un periodo di trionfo politico e tecnologico per gli Stati Uniti, il nostro racconta una storia di fallimenti; ma non finisce qui. Martin deve dirigere le conferenze stampa della nuova missione lunare, che vede impegnati i suoi colleghi Allen, Davis e Busby. I loro nomi sembrano veri: cognomi bianchi, anglosassoni e protestanti, come quelli di tutti gli storici astronauti del programma Apollo (prevalentemente piloti dell'aeronautica militare americana, anche se le capsule delle missioni lunari non venivano praticamente pilotate tranne in pochi momenti, e sempre sotto stretto controllo dalla Terra). È l'America normale, quella che la NASA rappresenta, sia nella realtà storica che nel romanzo di Malzberg, pur con la crepa costituita dal cedimento di Martin.
Ma la nuova missione non è affatto normale. L'Apollo imbarcherà delle testate nucleari, che verranno fatte detonare sulla Luna per un esperimento sismologico. E la responsabilità dell'uso delle bombe ricade su Busby, il terzo astronauta, quello che – come Martin – non scenderà sulla Luna ma resterà in orbita ad attendere che rientrino gli altri due prima di far partire i fuochi d'artificio.
Martin comincia a notare qualcosa di strano nei rapporti tra i tre astronauti; Allen, comandante della missione, sembra rigido e talvolta impacciato; Davis, un sociologo, sembra un pesce fuor d'acqua e decisamente tonto; Busby pare avere qualche cosa in testa di strano, e Martin non può non identificarsi con lui, dato il ruolo pressoché identico che rivestono nelle missioni, e comincia a chiedersi se il terzo astronauta non stia arrivando anch'egli al punto di rottura.
Non voglio aggiungere altro, anche perché il finale riserva qualche sorpresa. Voglio solo far notare come Malzberg prenda allegramente (si fa per dire) a martellate l'immagine degli astronauti che la NASA proponeva anche nella realtà storica: uomini tutti d'un pezzo, bianchi, capelli col taglio militare, famiglie perbene, mogli impeccabili. Tutto il contrario di quei giovani coi capelli lunghi e vestiti in modo fantasioso che giravano allora per le strade dell'America facendo uso di sostanze proibite, ascoltando musica chiassosa, protestando contro il Vietnam e le politiche repressive di Nixon. Insomma, Malzberg aveva ben chiaro, ed è un punto fondamentale del romanzo, che l'intero programma Apollo (che sicuramente costituiva un enorme investimento tecnoscientifico la cui ricaduta è stata effettivamente enorme), era anche un investimento sociopolitico: doveva proporre agli americani un modello di normalità americana proiettato nello spazio. Un modello vincente.
Ma questo, ed è un discorso che nel romanzo torna spesso, porta alla noia. Che gusto c'è a seguire imprese spaziali sempre uguali, dove tutto è previsto, dove tutto accade all'ora X già fissata da mesi, dove gli astronauti dicono cose già scritte, dove non c'è una sorpresa che sia una? Tolta la prima missione lunare, quella dell'Apollo 11, sembrava che le successive fossero repliche; difficile anche distinguere gli astronauti, simili com'erano. Ce ne fosse stato uno nero, asiatico, italoamericano, ebreo, nativo americano, niente: tutti sani ragazzoni biondi o rossi e cogli occhi azzurri. Alla fine ci ricordiamo l'Apollo 13 proprio perché lì le cose non andarono per il verso giusto e ci fu un po' di dramma, una vera suspense; è la missione fallita che è restata impressa.
Malzberg, insomma, aveva capito cosa intendeva dire Ballard (come al solito il visionario di Shepperton aveva già intuito tutto) quando aveva affermato che l'impresa spaziale americana sarebbe durata poco perché aveva lasciato fuori l'immaginazione. Nell'ansia di tutto programmare fino al minimo insignificante dettaglio, la NASA aveva realizzato un'avventura che di avventuroso non aveva nulla. La noia e il disinteresse del pubblico americano dopo i primi voli fece sì che nel 1972 il programma venisse interrotto cancellando le tre missioni previste e spostando i fondi (ridotti) sullo Space Shuttle. Dopodiché, come ben sappiamo, ci si limita a fare girotondi attorno alla Terra e a sparare qualche sonda verso i pianeti lontani; un po' poco, date le aspettative di allora.
Ma Malzberg non si limita a sbeffeggiare la volontà di controllo totale del programma spaziale e la sua presunzione di portare nello spazio l'assoluta normalità (o quella che l'establishment americano di allora voleva imporre come normalità); ha anche qualcosa da dire sul fatto che il linguaggio degli astronauti era assolutamente censurato, mai un'imprecazione, mai – soprattutto – un'oscenità. Il sesso nello spazio era escluso. Vietato. Impensabile. Anche solo nominarlo, non se ne parla!
E qui l'autore di The Falling Astronauts fa i conti al tempo stesso con il puritanesimo della NASA e quello della fantascienza tradizionale, che dai tempi di Gernsback aveva rimosso il sesso dal genere, perché essendo le riviste pulp rivolte agli adolescenti non dovevano dare scandalo in nessun modo. Magari mettere una bella ragazza un po' discinta (poco!) in copertina, minacciata dall'alieno lubrico, quello sì; ma poi nei racconti niente sesso, siamo fantascientisti. Malzberg, che è un iconoclasta nato, non ci sta. La prima scena del romanzo descrive un rapporto sessuale tra Martin e la moglie nel quale l'astronauta si vede come una navicella che si aggancia a una stazione orbitale (le prime parole del primo capitolo, per di più in maiuscole, sono DOCKING MANEUVER, cioè “manovra d'attracco”...). Malzberg vuole schiaffeggiare subito i suoi lettori; e poi si dilunga a parlare della disastrosa relazione di Martin con la moglie (il divorzio è all'orizzonte perché lei non sopporta più la vita da sposa dell'astronauta), della loro alienata vita sessuale, così come torna e ritorna a descrivere il momento del crollo di Martin durante la sua missione, presentando un'immagine dell'astronauta ben diversa da quella vincente e tutta d'un pezzo offerta dalla NASA.
Non stupisce quindi che le reazioni da parte del mondo della fantascienza non fossero esattamente entusiastiche. Come osava Malzberg buttare fango sul programma Apollo, che sembrava aprire la via dello spazio che fin dai tempi di Verne era stata evocata da gran parte degli scrittori e degli appassionati di fantascienza? Non sorprende che Bob Shaw dicesse, commentando un altro romanzo di Malzberg sempre incentrato sulla figura dell'astronauta (e collegato come vedremo con The Falling Astronauts), “Per me Oltre Apollo di Malzberg è l'epitome di tutto quello che è andato storto nella fantascienza negli ultimi dieci anni”. Non è un giudizio incoraggiante.

Ma cos'ha Oltre Apollo che disturbò così tanto uno scrittore classico di fantascienza come Shaw? Diciamo subito che in pratica si può leggere tranquillamente come un sequel di The Falling Astronauts, anche se Malzberg non lo dice apertamente. Il programma lunare è chiuso; la NASA ha fatto un tentativo con Marte, finito male anche se non si spiega più di tanto come mai; si tenta allora di raggiungere Venere con un equipaggio ridotto per risparmiare, solo due uomini, e cioè Evans, l'io narrante del romanzo e il Comandante; una spedizione fatta nella speranza di avere un successo comunque, pur nella consapevolezza che Venere potrebbe essere un posto ancor più inutile della Luna. Ma le cose non vanno a finire affatto bene, come si capisce già dall'inizio della narrazione:

A modo mio lo amavo, il Capitano, anche se sapevo che era matto, il povero bastardo. Ma era colpa sua solo in parte: uno deve tener conto delle condizioni. Le condizioni erano intollerabili. Questa cosa non funzionerà mai.

Solo Evans è tornato dal viaggio verso Venere. Che fine ha fatto il Capitano? Solo Evans lo sa veramente, e non si fa problemi a dirlo: racconta, racconta, racconta, solo che ogni volta la storia è diversa. E le varie versioni di cosa è successo durante il viaggio verso il secondo pianeta sono incompatibili tra di loro. Il Comandante si è suicidato, no, l'ha ammazzato Evans per difendersi perché era impazzito, no, è stato suggestionato telepaticamente dai venusiani, no... una girandola di versioni contrastanti. Perché l'astronauta fa questo? Dopo un po' che si seguono i suoi ragionamenti e sproloqui, è inevitabile farsi venire il dubbio che Evans sia impazzito durante il viaggio, ma arrivando a una situazione di disagio mentale ben più grave di quella di Martin in The Falling Astronauts. Non a caso è ricoverato in un'istituzione a metà tra il carcere, il manicomio e una base spaziale, ed è seguito da Forrest, uno psichiatra che si sforza, per quanto con metodi discretamente grotteschi (ma il grottesco in Malzberg spunta da tutte le parti, come ci si può aspettare da un discepolo di Kafka quale lui è), di far confessare Evans, di arrivare alla vera storia della spedizione su Venere e del suo fallimento. Ma è veramente pazzo, Evans, oppure finge di esserlo perché quello che sa non lo vuole comunicare, forse perché è una rivelazione troppo devastante per l'umanità?
Di sicuro l'immagine dell'astronauta che il romanzo trasmette è l'esatto opposto di quella rassicurante e ordinata e prevedibile che tanto piaceva alla NASA, e – c'è da credere – anche al presidente Nixon.
Pensate cosa sarebbe successo se dalla Luna fossero tornati solo Collins e Aldrin, e avessero cominciato a raccontare versioni diverse della morte di Armstrong, incluse scene di omosessualità. Ecco, questa assoluta mancanza di rispetto per il mito degli astronauti come si era andato costruendo per tutti gli anni Sessanta, fino all'apoteosi della notte della Luna, spiega abbastanza bene perché a Bob Shaw (e altri autori di fantascienza più tradizionalisti) Oltre Apollo restò proprio sullo stomaco. Ma Malzberg non si ferma qui. In pratica Evans, oltre a essere la negazione dell'astronauta eroico e responsabile (che era stato proposto non solo dalla NASA, ma anche da classici della fantascienza come “La caverna della notte” di James Gunn, oppure Oltre Venere di John Wyndham), è anche un autoritratto dello scrittore di fantascienza. Lo dice Evans stesso, che ha intenzione di scrivere un romanzo, proprio all'inizio del secondo capitolo; alla fine il romanzo verrà scritto e addirittura acquistato da una casa editrice (la stessa che effettivamente pubblicò Oltre Apollo). Ma allora chi parla veramente? L'astronauta Evans di ritorno da una missione misteriosamente fallita, o Barry Malzberg che finge di essere Evans? Del resto, da un certo punto di vista sia l'astronauta che lo scrittore dovrebbero dirci com'è andata, e raccontarci una storia che abbia un capo e una coda; ma non lo fanno né Evans né Malzberg. Ci presentano tante possibilità, ma alla fine non sappiamo a quale credere.
Capirete che i lettori affezionati a una fantascienza dove alla fine le cose, anche se per caso dovessero andare a finire male, si spiegano (come nel caso di un altro classico racconto di viaggio su Marte, “L'uomo che perse il mare” di Theodore Sturgeon), saranno rimasti piuttosto sconcertati alla lettura di Oltre Apollo, soprattutto tenendo conto che nei primi anni Settanta, nonostante si fosse avviata l'ondata sovversiva e rivoluzionaria della New Wave (sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti), la stragrande maggioranza dei lettori abituali di fantascienza era rimasta legata alla tradizione dell'Età dell'Oro. Ma Malzberg, pur conoscendo benissimo la tradizione del genere, guarda anche ad altri modelli: Kafka, come s'è detto, ma anche Norman Mailer, per non parlare del più grande iconoclasta del genere (un altro che faceva perdere la pazienza ai “vecchi leoni”), e cioè J.G. Ballard; e nella sua scrittura si sentono anche echi di un altro teppista come Philip Roth, il Roth degli esordi, del Lamento di Portnoy (sarà un caso se tre di questi quattro ispiratori sono accomunati a Malzberg dall'origine ebraica?).
Nello stesso anno in cui esce Oltre Apollo il nostro pubblica anche Revelations, altro romanzo inedito da noi. Peccato, perché l'argomento è assolutamente d'attualità, fors'anche più delle imprese dei cosmonauti. (Ci tengo a far notare che nel solo 1972 Malzberg pubblicò ben sei romanzi; è vero che non erano di quei mattoni ai quali siamo abituati oggi – la misura tipica del nostro è poco sotto le 200 pagine – ma come produttività credo ci siano pochi altri che gli tengano testa, forse Silverberg e Moorcock...)
Revelations (credo di non dover tradurre) è il titolo di un programma televisivo immaginario, condotto dallo spregiudicato presentatore Marvin Martin. La formula del programma è qualcosa che oggi ci risulta familiare, ma quarant'anni fa suonava decisamente fantascientifica: a ogni puntata si presenta una persona a raccontare la storia della sua vita; Martin praticamente fa a pezzi l'ospite, ponendogli domande imbarazzanti e spesso offensive sulle sue motivazioni, sui suoi rapporti personali, sulla sua famiglia, sulla sua moralità, e ovviamente (abbiamo capito che è un chiodo fisso di Malzberg, ma di chi non lo è?) sulla sua vita sessuale. In pratica l'ospite sta lì per essere sadicamente demolito da Martin, sotto gli occhi degli spettatori che se la godono un mondo. La giustificazione di questo linciaggio televisivo è che così si accede alla vera vita delle persone, che si fanno cadere tutti i tabù e le ipocrisie, che si vede la realtà in faccia per quello che è. Erano o non erano gli anni della liberazione dei costumi, quelli? Insomma, nel 1972 Malzberg aveva previsto quella che oggi chiamiamo reality TV, e quel che succede agli ospiti di Revelations altro non è che una versione intensificata del trattamento riservato da un talk radio hostcome Cruciani ai malcapitati che hanno la cattiva idea di telefonare alla Zanzara su Radio24...
Ma la realtà della TV è quanto di più artefatto ci sia. Prima di andare in onda gli ospiti vengono selezionati da Hurwitz, il braccio destro di Martin, che screma tutti i mitomani e quelli che non hanno storie sufficientemente interessanti; inoltre, prima di andare veramente in onda, i vari personaggi selezionati devono sostenere dei colloqui preliminari con il presentatore. Tutto è orchestrato in anticipo, tutto è calcolato e preparato. Proprio come nella cosiddetta reality TV, proprio come nel Grande fratello. Proprio come nelle missioni lunari...
Quando il romanzo inizia, in realtà, Revelations è in fase calante. Ha avuto due anni di gran successo, ma ora, a metà della terza stagione, comincia a perdere colpi, e Hurwitz ne è ben consapevole; come pure lo sa Martin, che diventa per questo sempre più irritabile e aggressivo. Per quanto all'inizio la novità fosse scioccante, la gente alla fine si abitua e si annoia (un po' come gli sbarchi sulla Luna...). Per cui Hurwitz viene messo spietatamente sotto pressione da Martin: deve trovare assolutamente ospiti che buchino lo schermo, storie sconvolgenti, cose mai sentite. Tra l'altro, c'è anche il problema di qualche rete televisiva concorrente che è riuscita occasionalmente a infiltrare in Revelations dei personaggi tarocchi, gente dalle storie contraffatte, che in trasmissione fanno crollare miseramente il programma.
E a questo punto torna in scena lo spazio: Hurwitz riceve una lettera da un ex-astronauta, Walter Monaghan, che vuole partecipare al programma. Ne ha di cose da rivelare, e le descrive con dovizia di particolari nella sua lettera, alla quale allega un lungo memoriale: lo sbarco sulla Luna è stata una truffa, tutto ricostruito in uno studio televisivo, la NASA non ce l'ha fatta ad arrivare al nostro satellite, è stato una fallimento, e per nasconderlo al pubblico americano le scene dello sbarco sono state girate in studio, ricostruite nei minimi dettagli. Inoltre, diversi astronauti sono impazziti per le cose spaventose che hanno dovuto sopportare durante le missioni lunari; alcuni sono stati fatti sparire, ricoverati in cliniche psichiatriche segrete per evitare che il pubblico americano scoprisse l'altra faccia del programma spaziale.
Ma come fanno a stare insieme le due cose? Se gli astronauti non sono andati veramente sulla Luna, com'è che sono impazziti per lo stress delle missioni? Le spiegazioni di Monaghan non convincono del tutto, e Hurwitz comincia a chiedersi se l'ex-astronauta non sia un mitomane, o non sia squilibrato al punto da non sapere più bene cosa gli è successo (come, forse, Evans in Oltre Apollo), o magari sta fingendo per qualche scopo losco; ma Marvin Martin decide che il caso di Monaghan è interessante, per cui vuole andare fino in fondo e portarlo in trasmissione...
Ecco, mi fermo qui perché anche Revelations ha un finale che sorprende, e ricollega il romanzo a parecchie cose accadute nel decennio immediatamente precedente alla sua pubblicazione, non solo il programma Apollo e l'epopea lunare. Però credo che a questo punto vi sarete fatti un'idea della stranezza della fantascienza di Malzberg, ma anche della sua complessità. Sono romanzi che fanno sicuramente girare la testa e spiazzano, e il motivo per cui alla fine della fiera il nostro resta una figura in ombra a casa sua, e pochissimo conosciuta da noi, è che molti appassionati di fantascienza, anche se parlano spesso di sense of wonder, dei giramenti di testa ne hanno paura.
Ma se non avete problemi a farvi scombussolare, se il sesso (raccontato) non vi disturba, se le personalità contorte e psicotiche non vi spaventano, se le storie labirintiche dove ci si perde facilmente non vi scoraggiano, e se pensate che la nostra realtà sia tutt'altro che razionale e ordinata ma includa una bella fetta di pazzia, allora sicuramente la lettura della narrativa di Malzberg potrebbe interessarvi, e forse pure (chissà) piacervi.
Chiudo il discorsetto con un'ultima noticina: pare che qualcuno abbia in programma di realizzare un film basato su Oltre Apollo. Si parla di Bill Pullman come interprete. Il grande database del cinema, IMDB, lo dà in fase di sviluppo, il che non vuol dire molto; la storia del cinema è piena di progetti non realizzati. In ogni caso, vuol dire che l'interesse attorno a Barry Norman Malzberg e alle sue storie scombussolate e scombussolanti ancora non è morto, come prova anche il fatto delle recenti ripubblicazioni (da noi, per quanto poche) e del permanere in stampa, se non altro in formato ebook, delle sue opere (in inglese). Può essere benissimo che di lui e dei suoi astronauti esauriti, sbroccati, falliti, bugiardi, inattendibili e inaffidabili ne sentiremo riparlare.

Umberto Rossi


*    Tutti scritti, a detta di Malzberg, in meno di un anno.

LE STELLE DEI GIGANTI (MILLEMONDI 74) di James P. Hogan

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Dalla quarta di copertina:

LO SCHELETRO IMPOSSIBILEUna tuta rossa d’astronauta con dentro uno scheletro umano, sulla Luna. La tuta è di un materiale ignoto, contiene strumenti mai visti e un giornale di bordo scritto in un alfabeto indecifrabile.
CHI C’ERA PRIMA DI NOIDecine di milioni di anni fa, prima che un certo pianeta andasse in pezzi, la strana razza che l’abitava sparì, lasciando come unica testimonianza del suo passato il relitto di una nave stellare su un ghiacciato satellite di Giove.
LA STELLA DEI GIGANTINel secolo XXI due scienziati terrestri in missione su una delle lune di Giove entrano in contatto con degli alieni perduti nel Tempo, che cominciano a rivelare qualcosa sul mistero delle nostre origini…
JAMES P. HOGAN Scrittore inglese, è nato nel 1941 ed è morto nel 2010. Il ciclo dei giganti è composto dai tre romanzi riproposti in questo volume (usciti rispettivamente nel 1977, 1978 e 1981) più un quarto titolo, Entoverse, apparso nel 1991 e che contiamo di tradurre prossimamente.

Il Millemondi 74 si presenta in edicola con una edizione che farà felici gli appassionati. In un unico volume Urania ripubblica i tre romanzi fin'ora tradotti in italia che costituiscono il Ciclo dei Giganti di James P. Hogan. Il ciclo è completato da altri due romanzi mai tradotti in italia, Entoverse e Mission to Minerva. Il primo, secondo la quarta di copertina, potrebbe essere tradotto prossimamente, mentre dell'ultimo romanzo del ciclo non si fa menzione.
Lo scheletro impossibile comincia con un  ritrovamento sorprendente: sulla luna viene rinvenuto uno scheletro all'interno di una tuta spaziale che sembra diversa da quelle comunemente usate. Ma se la tuta può essere un'anomalia tutto sommato spiegabile, quello che non si riesce a spiegare è l'origine dello scheletro. Non risulta appartenere a nessuno degli esseri umani transitati sulla luna e quando le indagini si spingeranno in profondità sarà chiaro che esso non può appartenere a un essere umano moderno. Così comincia un viaggio che attraverserà le epoche alla ricerca dell'origine dell'umanità fino ai primordi del sistema solare.
Lo scheletro impossibileè veramente un bel romanzo, Hogan tesse una trama ben congegnata e il lettore è guidato passo passo verso la soluzione di un mistero affascinante.
Chi c'era prima di noi prosegue cambiando atmosfere ma rinvigorendo la trama con nuovi interrogativi che vengono dipanati attraverso una trama avvincente. Non raggiunge le vette del precedente, ma è comunque un romanzo piacevole.
Con La stella dei giganti però il giochino si rompe definitivamente, stavolta Hogan non riesce a tenere il livello dei primi due romanzi, l'atmosfera perde il suo fascino e la tensione cala drammaticamente. La storia perde di verve e il definitiva il romanzo diventa una chiara occasione perduta.


Tra i tre romanzi il superiore è decisamente il primo, pur se il secondo rimane ancora appassionante e merita una possibilità. Il terzo, come già detto, fallisce nel tentativo di proseguire una trama che inizialmente appariva dalle potenzialità infinite.
In definitiva, se non avete mai letto nessuno dei tre romanzi, Lo scheletro impossibile da solo vale il prezzo del volume, insieme a chi Chi c'era prima di noi è un'occasione da sfruttare per chi ama quel genere di fantascienza che ipotizza una diversa origine per la specie umana.
Buona lettura.


Vincenzo Cammalleri










LA VIA DELLA COLLERA di Antoine Rouaud

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Nato nel 1979 in Francia e tutt’ora residente a Nantes, Antoine Rouaud ha raggiunto un notevole successo con La via della collera (La voie de la colère, 2013),primo volume della trilogia fantasy “Il libro e la spada”, divenuto un bestseller in Francia e tradotto successivamente in numerosi Paesi nel mondo. Amante da sempre di atmosfere fantastiche e di mondi immaginari, trovò fin da piccolo stimolo e ispirazione per questa sua passione dai film di Lucas e Spielberg o da scrittori di vari generi come Morcoock, Tolkien o Stephen King, rimanendo un lettore appassionato ed eclettico. 
La via della collera ha una trama varia, intessuta di frequenti flashback che danno colore e movimento alla narrazione; il personaggio principale èDun-Cadal, ex sommo generale dell’Impero ormai caduto della famiglia Reyes, che dopo esser stato un eroe di guerra si è ridotto all’ombra devastata di se stesso. Schiavo della bottiglia e perso nel rimpianto di un tempo glorioso svanito nel nulla, un giorno conosce una giovane storica, Viola, che è alla ricerca della Spada dell’Impero, simbolo scomparso del potere imperiale. In seguito a questo incontro, cominciano a verificarsi strani omicidi: i vecchi compagni di Dun-Cadal vengono uccisi ad uno ad uno e per lui arriva il momento di riaffrontare un passato accantonato e di tirare fuori il coraggio che lo aveva spesso dipinto a tinte leggendarie. 
Questo primo volume è il risultato di una rielaborazione di scritti precedenti che non erano stati pubblicati perché non sufficientemente maturi; nel quadro della trilogia, a detta dello stesso autore, ognuno dei tre libri sembra dover rappresentare una sorta di passaggio, di rito di iniziazione che conduce dall’adolescenza ad una dimensione psicologica e interiore via via più matura. I tradimenti, il coraggio, la vendetta sono tutti temi affrontati con consapevolezza del loro potere attuale in ogni ambito sociologico ed esistenziale.
Nulla di quanto è trattato è lasciato al caso. Il tormento interiore che caratterizza Dun-Cadal all’inizio della storia è intenzionalmente reso manifesto, facendo capire quanto l’orgoglio che colma ancora il petto del generale lo renda una vittima di se stesso, del suo celebre vissuto. È a tratti un personaggio scomodo, che non attira la simpatia del lettore sia per il suo modo arrogante di porsi, sia per i compromessi cui ha dovuto sottostare per raggiungere il prestigio di cui si è gloriato; ma nel muro freddo e spesso della sua protervia vi è uno spiraglio di luce, rappresentato dal rimorso per il male compiuto e da un sottile desiderio di riscatto morale. In quest’ottica vi è gioco di antitesi sul concetto di colpa e di redenzione; Dun-Cadal è comunque un personaggio sempre e profondamente umano, imprigionato dal rimpianto del passato e aperto al richiamo del destino. 
Il tema della scelta e del destino sono punti chiave che si sviluppano in questo primo volume ma che sembra essere catapultato in avanti, per fare da filo conduttore tra fatti e personaggi: le trame del destino sono già scritte o devono essere costruite istante dopo istante con la nostra volontà? Da qui scaturiscono interessanti meditazioni sul potere e sulla corruzione legate anche alla questione della fede religiosa che caratterizza, sostenendole o condannandole, le scelte di Dun-Cadal.
Nonostante tutti questi inviti alla riflessione, il ritmo si mantiene buono e costante e la concentrazione non viene fuorviata. Scarne e superficiali sono le descrizioni; Antoine Rouaud è più scrittore di fatti e azioni che di descrizioni che, senza dubbio, avrebbero creato maggior coinvolgimento e più forza all’impianto narrativo. 
Quello che a mio giudizio rappresenta una debolezza in questo volume è lo stile, semplice e abbastanza immediato, ma non abbastanza forte, incisivo. L’utilizzo eccessivo dei punti di sospensione, poi, rende poco energica la comunicazione, penalizzandola. L’impressione che ho avuto è che in alcune parti sfuggisse all’autore il punto focale della situazione, trasmettendo una sensazione di incompletezza e creando a tratti insoddisfazione, sebbene non manchino dei punti di luce che affascinano con il loro afflato poetico e che si connettono direttamente all’elemento magico: “La terra… il mondo intero è come l’aria che va e viene. Il Soffio… il respiro del mondo. Tutti lo possono ascoltare, ma sentirlo? Controllarlo? È più difficile, bisogna stare in ascolto. Concentrati… Senti il Soffio, sii il Soffio”.
Tirando le somme, l’altalenarsi di intrattenimento e riflessione, avventura, magia e intreccio politico rendono il libro comunque piacevole, senza però conferirgli il dono glorioso di trafiggere l’animo del lettore e appassionarlo in modo viscerale.

Autore: Antoine Rouaud
Titolo: La via della collera
Editore: Bur, 2015
Pagg. 469, € 14,90

Artemisia Birch
 

CALIBAN - LA GUERRA di James S. A. Corey

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Holden inquadrò l'incrociatore marziano sul visore finché non passò davanti alla lunga chiazza dell'ellittica della Via Lattea. Per un istante, l'intera nave non fu altro che una sagoma nera sullo sfondo bianco antico di qualche miliardo di stelle.
(trad. di Stefano A. Cresti)

Seconda di copertina:
Su Ganimede, il pianeta granaio dell’intero sistema gioviano e fonte di approvvigionamento per i pianeti più esterni, un marine dell’esercito di Marte assiste inerme allo sterminio del suo plotone, massacrato da un mostruoso supersoldato. Nel frattempo, Venere è stata invasa da una protomolecola aliena altamente infettiva che, dopo aver apportato misteriosi e catastrofici cambiamenti all’equilibrio del pianeta, minaccia di espandersi nell’intero sistema solare. Sulla Terra, un politico di alto rango lotta per evitare che si riaccenda la guerra interplanetaria.
È in questo scenario che James Holden e l’equipaggio della Rocinante provano a mantenere la pace all’interno dell’Alleanza dei Pianeti Esterni. Quando accettano di aiutare uno scienziato a ritrovare un bambino scomparso in una Ganimede devastata dalla guerra, comprenderanno che in gioco c’è molto più della sorte di un singolo. L’avvenire dell’umanità è nelle loro mani, ma riuscirà una sola navicella a impedire un’invasione aliena che forse è già cominciata?

Con CALIBAN – LA GUERRA (Caliban's War, 2012), secondo capitolo della serie nota come The Expanse, continuano le avventure nel sistema solare del capitano James Holden e dell'equipaggio della Rocinante.
Come nel volume precedente, "Leviathan – Il risveglio" (Leviathan Wakes, 2011), il divertimento per il lettore è assicurato: Daniel Abraham e Ty Franck, gli autori statunitensi che si celano dietro lo pseudonimo James S.A. Corey, ricorrono abilmente ad ogni espediente per ottenere una Space Opera dalla storia godibile, scorrevole e soprattutto adrenalinica. Se non c'è da aspettarsi grande originalità o eccessiva introspezione psicologica dei personaggi, i colpi di scena cadenzano piacevolmente, e con una certa frequenza, il ritmo della lettura.
Le particolarità dei protagonisti, per alcuni dei quali è impossibile non provare simpatia, gli intrighi politici, gli scontri a fuoco, le battaglie spaziali, le fughe lungo i corridoi di città sotterranee, astronavi e basi spaziali non consentono cali di tensione o, peggio, noia.
Forse chi ha letto "Leviathan – Il risveglio", indispensabile a mio avviso per comprendere appieno la storia di CALIBAN – LA GUERRA, sentirà la mancanza di una figura come quella di Miller, cinica e scanzonata allo stesso tempo, piena di luci e ombre. La spregiudicata Chrisjen Avarasala, anziana ma micidiale statista dall'eloquio sciolto e colorito, pur interessante e a tratti spassosa, non riesce a colmare il vuoto lasciato dal detective disilluso dalla vita. E se nel primo capitolo il filo della narrazione si rimpallava tra Holden e Miller, ora i personaggi principali sono saliti a quattro.
Il prodotto comunque continua a funzionare. Ricordiamo che da questo ciclo è stata tratta anche una serie televisiva, appena approdata alla seconda stagione.
Gli appassionati possono stare tranquilli: negli Stati Uniti si è arrivati al quinto libro, e in Italia la pubblicazione del terzo, Abaddon's Gate (2013), è già stata prevista dalla Fanucci.

James S.A. COREY, CALIBAN – LA GUERRA (Caliban's War, 2012), trad. di Stefano A. Cresti, Fanucci, pp. 574, 2015, prezzo 16,90 €.

Stefano Sacchini
 

GLI EREDI DI HAMMERFELL di Marion Zimmer Bradley

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Erano già a un'altezza più che rispettabile, quando Alester vide una sorta di strada fra i rami, costituita di passerelle di legno, che correva da un albero all'altro. In fondo c'era una sorta di capanna, costruita piegando ad arte i rami più piccoli e intrecciandoli tra loro: una sola stanza, ma spaziosa e con sul pavimento un paio di grossi cuscini di stoffa spessa.L'omino si lasciò cadere su uno dei cuscini e fece segno ad Alester di accomodarsi sull'altro. Il giovane si sedette e si accorse che era abbastanza comodo: dal fruscio e dall'odore di prato che aveva, capì che era pieno di erba secca.
Il nano prese un bastone lungo e sottile e gli diede un pizzicotto sulla punta: subito vi si accese un piccolo fuoco, che illuminò debolmente l'interno della camera. Lo piantò in terra, in modo che facesse da candeliere, e disse:
"Allora, gli indovinelli. La prossima volta che mi riunirò con i miei fratelli attorno al fuoco, voglio averne uno nuovo da sfoggiare!" 
(trad. di Riccardo Valla)


Quarta di copertina: 
Un antico conflitto tra i clan di Hammerfell e Storn insanguina ancora la terra di Darkover. In una notte fatale, i destini dei due gemelli Alester e Conn, eredi del trono di Hammerfell, vengono brutalmente separati…


GLI EREDI DI HAMMERFELL (The Heirs of Hammerfell) fu pubblicato nel dicembre del 1989, dopo alcuni anni in cui Marion Zimmer Bradley (1930-1999) si era dedicata ad altri progetti letterari, ed è l'ultimo romanzo della serie di Darkover, tra quelli scritti esclusivamente dall'autrice di Albany (NY), a svolgersi durante gli anni sanguinosi dei Cento Regni. Come ben sanno gli appassionati, nella cronologia darkoverana è questo il periodo immediatamente precedente la "riscoperta" del pianeta dal sole rosso da parte delle astronavi terrestri, dopo millenni in cui la società umana locale si è sviluppata autonomamente.
Il romanzo apre una finestra sulla società dei Comyn, gli aristocratici che governano la civiltà feudale di Darkover, colta nel momento del suo massimo splendore. Ogni famiglia Comyn si distingue per uno specifico Potere, il cosiddetto laran, esercitato grazie all'uso delle Pietre Matrici. Queste sono cristalli magici, donati agli umani agli albori della colonizzazione planetaria dai Chieri, noti anche come elfi di Darkover. Tra i monti Hellers, non lontano dai ghiacci eterni che circondano le terre abitate dagli esseri umani, due minuscoli feudi, quello degli Hammerfell e quello limitrofo degli Storn, si combattono tra loro, trascinandosi in una faida vecchia di generazioni. Protagonisti  principali sono i fratelli gemelli Alester e Conn, ultimi rampolli del signore di Hammerfell. Separati da piccoli, dopo la presa del proprio castello da parte dell'armata Storn, si riuniranno in età ormai adulta e lotteranno, insieme, per riconquistare l'eredità paterna. In realtà, più che la lotta contro gli Storn, a catalizzare l'attenzione del lettore è la riunione e lo scontro tra le differenti personalità dei due protagonisti. Alester è cresciuto, assieme alla madre, alla corte del re Hastur, nella ricca e raffinata città di Thendara; Conn, rimasto sugli Hellers assieme allo scudiero Markos e a lungo creduto morto, è stato allevato tra umili montanari e nonostante sia dotato di un laranmaggiore, non è l'erede ufficiale alla signoria, essendo nato venti minuti dopo il fratello. Due personalità in forte contrasto: colto, galantuomo, sprezzante verso le classi più basse l'uno, semplice, pratico e generoso verso il prossimo l'altro.
Il romanzo, scritto con lo stile scorrevole cui ha abituato l'autrice statunitense, non presenta grandi colpi di scena e la trama procede, piacevolmente e con una concisione tipica del racconto fiabesco, verso un finale privo di sorprese stravolgenti. La singolarità, per chi è avvezzo a questa immensa saga che conta decine di titoli, è l'incontro di Alester con un "uomo delle foreste", esponente della razza umanoide che vive sui grandi alberi di Darkover. Infatti, dopo l'arrivo degli umani in seguito a un naufragio (vicenda descritta nel romanzo "Naufragio sul pianeta Darkover"), le specie aborigene si sono ritirate in luoghi isolati e impervi, lontano dagli insediamenti umani in espansione, e raramente compaiono nei romanzi e nei racconti che Marion Zimmer Bradley fa svolgere nei primi periodi, l'età del Caos e i Cento Regni.
Non meno importante, nell'economia della storia, è l'aspetto sentimentale: come in ogni romanzo che si rispetti della Zimmer Bradley, i travagli amorosi sono centrali nella trama e a volte offrono al lettore più pathos di battaglie e duelli.
Un libro science-fantasydove l'aspetto fantasyprevale nettamente, consigliato a chi è già innamorato delle atmosfere e dei panorami del mondo dal sole rosso.


GLI EREDI DI HAMMERFELL (The Heirs of Hammerfell, 1889), trad. di Riccardo Valla, Editori Associati, collana TEADue, pp. 243, 1992. 

Stefano Sacchini 
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